Sulla questione idrocarburi a volte vi sono vere e proprie leggende dure da sfatare.
Oggi in radio da Milano mi hanno intervistato su Ombrina e il discorso è virato sulla questione delle 12 miglia, probabilmente per il fatto che il referendum proposto dalle regioni interviene ripristinando il divieto solo all’interno di questo limite e non oltre, lasciando la possibilità, anche in caso di successo del referendum, di installare una piattaforma a 12,1 miglia dalla costa.
Le istanze di permessi di ricerca in mare al 31/12/2014 secondo il MISE. La stragrande maggioranza è fuori il limite delle 12 miglia.
Le istanze di permessi di prospezione in mare al 31/12/2014 secondo il MISE. Quasi la totalità è fuori il limite delle 12 miglia.
Parlando quindi delle concessioni situate oltre l’ormai famoso limite delle 12 miglia, il giornalista mi ha stoppato dicendomi “ma oltre le 12 miglia vige la norma internazionale“, quasi a dire “siamo impotenti, non si può fare nulla se non smuovendo entità superiori“.
È vero?
È possibile intervenire o meno o ci vogliono addirittura nuove norme internazionali?
La suddivisione del mare in varie aree, quella sì, deriva dalle norme internazionali.
In questa sede ci interessano:
– il mare territoriale: entro le 12 miglia marine dalla cosiddetta linea di base, coincidente di fatto con la costa (ha ampiezza di circa 21 chilometri);
– il mare della piattaforma continentale: dalle 12 miglia marine verso il largo fino alla linea di demarcazione decisa con un altro stato in base ad accordi bilaterali tenendo conto delle norme internazionali.
Oltre le 12 miglia, nel mare della piattaforma continentale, quali norme si applicano?
La risposta, per una volta, è molto semplice.
Oltre le 12 miglia fino al limite della piattaforma continentale vale la legislazione italiana e vi è il diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse minerarie da parte dell’Italia.
Cioè non è “mare di nessuno” ma chi vuole sfruttare quelle risorse deve rivolgersi esclusivamente all’Italia e secondo le modalità amministrative, tecniche ecc. derivanti dalle sue leggi.
Questo diritto discende prima dalla Convenzione di Ginevra del 1958 e poi dall’Art.77 della Convenzione Internazionale di Montego Bay del 1982 (http://www.minambiente.it/normative/convenzione-10-dicembre-1982-convenzione-delle-nazioni-unite-sul-diritto-del-mare-montego) che sancisce che lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare tutte le risorse della piattaforma. Inoltre, anche se l’Italia non dovesse esplorare queste risorse, un secondo stato non potrebbe farlo a sua volta senza richiedere espressamente il suo permesso. Basta leggere l’articolo 77 per rendersi conto di questo fatto.
Tutto ciò deriva dalla cosiddetta “dottrina Truman”, perché che fu il Presidente statunitense in un proclama del 1945 a porre con forza la questione dello sfruttamento delle risorse della piattaforma continentale in senso esclusivo.
Nell’area della piattaforma per lo sfruttamento delle sue risorse si applicano, quindi, tutte le norme italiane.
È facile constatarlo facendo due esempi.
Basta chiedersi: a chi pagano le royalty i petrolieri che hanno concessioni oltre le 12 miglia?
Risposta: allo Stato italiano.
A chi presentano le richieste di Valutazione di Impatto Ambientale per i nuovi progetti?
Risposta: al Ministero dell’Ambiente italiano.
E così via.
Pertanto se si cambiano le norme italiane cambia tutto anche al di fuori delle 12 miglia fino ai limiti della piattaforma continentale.
Non faccio altro che riportare e riassumere quanto è riportato dalla pubblicazione del Ministero dello Sviluppo Economico “Il Mare”, molto utile per comprendere le varie iniziative petrolifere off-shore, il cui testo che è scaricabile qui: http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/pubblicazioni/buigmare2015.pdf.
L’Italia ha, delimitato con accordi specifici con i paesi frontisti (Slovenia, Croazia, Albania, Montenegro, Grecia, Libia, Malta, Tunisia, Spagna, Francia) l’estensione della piattaforma continentale che è riportata in questa mappa tratta dalla Pubblicazione “Il mare”.
A titolo di esempio, la delimitazione tra Italia e Croazia è a circa 40-50 miglia dalla costa, ben oltre le 12 miglia che rappresentano il limite delle acque territoriali.
Nella stessa pubblicazione del Ministero dello Sviluppo Economico questo fatto è ben chiarito fin dalla prefazione del Prof. Umberto Leanza nella prima edizione del volume.
Nella seconda edizione la questione viene ribadita.
Più volte, anche nella definizione.
Lo stato italiano regola l’apertura o meno allo sfruttamento degli idrocarburi delle aree di propria competenza, anche oltre le 12 miglia, attraverso Leggi, come la legge 613/67, e Decreti.
L’Art.2 comma 1 della Legge 613/1967 è chiarissimo sul punto “Il diritto di esplorare la piattaforma continentale e di sfruttarne le risorse naturali appartiene allo Stato. Le attività dirette alla prospezione, alla ricerca ed alla coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel sottofondo marino adiacente al territorio della penisola e delle isole italiane, dalla costa a bassa marea fino al limite esterno della piattaforma continentale italiana, sono soggette alle disposizioni della presente legge e a quelle non contrastanti contenute nelle leggi vigenti.” e oltre “Le sostanze minerali ricavate dalla piattaforma continentale sono considerate, a tutti gli effetti, compresi quelli fiscali non previsti dalla presente legge, alla stregua di quelle ricavate nel territorio italiano.“
Di conseguenza il Ministero scrive nel testo “Il Mare”: “I titoli minerari per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi in mare, vengono conferiti dal Ministero dello sviluppo economico in aree della piattaforma continentale italiana istituite con leggi e decreti ministeriali, denominate ‘Zone marine’ e identificate con lettere dell’alfabeto. Finora sono state aperte le Zone marine da A a E con la legge 613/67, e le zone F e G con decreti ministeriali. La superficie totale delle zone aperte alle attività minerarie costituisce circa il 40 % della superficie totale della piattaforma continentale italiana.“
Qui l’attuale configurazione delle aree aperte allo sfruttamento e della piattaforma italiana (in parte coincidono come detto).
Le aree della piattaforma continentale italiana rimangono interdette allo sfruttamento da parte di qualsiasi stato e operatore fino alla loro inclusione in aree aperte allo sfruttamento!
Tra l’altro lo Stato italiano può anche ulteriormente definire, all’interno delle aree aperte, situazioni specifiche.
Basti pensare all’alto Adriatico dove esiste una zona di divieto imposta da una legge del 1991 oltre le 12 miglia e fino alla linea di demarcazione con la Croazia.
Nella versione del Decreto Sblocca Italia approvata dal Consiglio dei Ministri (e quindi vigente per 55 giorni come norma dello Stato) tale divieto era stato abrogato ed è stato reintrodotto nel passaggio in parlamento per la conversione in legge.
Qui sotto è riportata la mappa con l’excursus normativo ante Sblocca Italia sempre tratta dalla pubblicazione ministeriale “Il mare”, prima edizione.
A riprova del fatto che entro le aree delimitate con accordi internazionali tra stati la competenza diviene esclusiva si segnala che recentemente, con il Decreto Ministeriale 9 agosto 2013, è stata aperta una vasta area della piattaforma continentale italiana di fronte alla Sardegna, integralmente oltre le 12 miglia, precedentemente chiusa alle attività.
Pertanto è l’Italia, nella piattaforma continentale di propria competenza, anche oltre le 12 miglia, a decidere se rilasciare concessioni o meno secondo il diritto interno.
Ne consegue che eventuali cambiamenti per via legislativa o referendaria, a seconda dei quesiti, possono avere o possono non avere conseguenze sulle aree marine oltre le 12 miglia.
Pertanto sarebbe importante tenere bene a mente questi principi basilari, al di là delle legittime posizioni di ognuno, nelle varie discussioni sul tema delle perforazioni off-shore, nella valutazione dell’opportunità di iniziative di modifica di norme e nella lettura dei progetti .
Segnalo, infine, oltre alla pubblicazione del MISE, un altro testo molto completo per chi volesse approfondire l’argomento:
(Articolo di Augusto De Sanctis pubblicato con questo titolo sul suo sito il 1 ottobre 2015.
Augusto De Sanctis è stato socio del WWF dal 1983, attivista dal 1986 al 2013 anno in cui ha deciso di lasciare questa associazione non condividendo le modalità di conduzione, rendicontazione e l’assenza di trasparenza sui bilanci. Dopo esserne stato il coordinatore tra il 2009 e il 2013, attualmente collabora in qualità di consulente con l’Istituto Abruzzese Aree Protette, un’associazione che gestisce alcune riserve naturali. Svolge anche attività di consulenza per il servizio legislativo del Gruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati, per la produzione di bozze di legge in materia di V.I.A., qualità dell’acqua e bonifiche e per l’esame di provvedimenti in materia ambientale del Governo. Dedica il resto del suo tempo ai movimenti, come il Forum abruzzese dei Movimenti dell’Acqua e il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.)