La Corte dei Conti condanna i saccheggiatori per «l’amputazione delle pagine recanti note di possesso; la devastazione patita dai libri malamente stipati in scatoloni o esposti alla luce, o all’umidità; l’asportazione di tavole; i tagli, abrasioni, strappi, scompaginamenti, lavaggi corrosivi…».
Quale ‘bibliofilia’ anima quel mercato internazionale che ha tanto beneficiato del massacro dei Girolamini?
C’è bisogno di un amore diverso: non il possesso esclusivo, ma la condivisione più larga.
Altrimenti, quando la Procura toglierà i sigilli alla Biblioteca, il rischio è che essa ricada nella marginalità che è stata la premessa della devastazione.
Questa volta, l’università potrebbe fare la differenza.
Andrea Mazzucchi (filologo della letteratura italiana presso la Federico II di Napoli) sta lavorando ad un progetto che collochi ai Girolamini la prima Scuola di filologia materiale d’Italia: dove ogni anno una ventina di laureati si formi sullo studio dei manoscritti (paleografia, diplomatica, filologia), catalogando (e dunque mettendo in sicurezza) l’enorme quantità di codici conservati nelle biblioteche meridionali, a partire proprio dai Girolamini.
Accanto a questo cuore pulsante, una struttura che redistribuisca la conoscenza: le sale e i chiostri dell’enorme complesso tra Via Duomo e il decumano si aprirebbero alla cittadinanza.
Non un museo, ma il primo grande centro per il libro del Meridione: dove i ragazzi delle scuole, i pensionati e i bambini possano partecipare a letture pubbliche, spettacoli, caffé letterari.
Il progetto ha il sostegno dell’Ateneo, e ha un parziale finanziamento: se il Ministero per i Beni culturali vorrà, potrà partire subito.
In fondo era il sogno di Giuseppe Valletta (1636-1714), padre del pensiero illuminista napoletano: che spiegò ad un papa che l’Inquisizione si era incattivita perché finalmente «si erano fuori de’chiostri dilatate le lettere, e propagata nella nostra patria la filosofia».
I libri di Valletta sono ai Girolamini: a perorarne l’acquisto fu il più illustre frequentatore della biblioteca, Giovan Battista Vico.
Dilatando fuori da quei chiostri l’amore per i libri si avvererebbe anche un altro sogno.
Nell’ottobre del 1980 il governo decise di fare dei Girolamini una scuola di studi filosofici, diretta da Gerardo Marotta: «un provvedimento coraggioso — scrisse Luigi Firpo — illuminato dalla fede laica nell’intelligenza e nella volontà rivolte al bene comune».
Nemmeno un mese dopo, il terremoto dell’Irpinia cancellò quella svolta, riducendo i Girolamini a ricovero per gli sfollati.
Stavolta ci si deve riuscire.
Roberto Saviano ha spiegato perché Napoli è un buco nero, che inghiotte il proprio futuro.
Poche cose possono cambiare il destino di una comunità quanto la produzione di conoscenza: non il marketing dei capolavori che sradica i Caravaggio, non la fabbrica degli eventi.
Un centro per la formazione alla lettura piantato nel cuore di Napoli, invece, sarebbe più potente di qualunque presidio militare, più carico di futuro di qualunque tattica politica.
(Articolo di Tomaso Montanari, pubblicato con questo titolo il 3 marzo 2016 su “la Repubblica”)