PRATI DI TOR DI QUINTO
Il comprensorio dei Prati di Tor di Quinto si snoda ai lati del Viale di Tor di Quinto per il tratto che parte grosso modo ad ovest all’altezza del Ponte Flaminio e arriva a nord-est allo svincolo della Via Flaminia Vecchia: a nord confina con la collina Fleming ed a sud con il Fiume Tevere
VIALE DI TOR DI QUINTO
Viale di Tor di Quinto si snoda nel tratto che parte dal piazzale di Ponte Milvio e arriva all’incrocio Via Flaminia Vecchia: ricade nella zona XVIII dell’Agro Romano VIII “Tor di Quinto”.
Origine del toponimo – Prende il nome dalla torre ubicata al V° miglio della via Flaminia antica.
LA LOCALITÀ
I ruderi della torre si scorgono tra due rocce su di una collina alta 30 metri circa sul livello del mare, prospiciente via Federico Caprilli e distante 50 metri circa da Viale di Tor di Quinto.
PREESISTENZE
Secondo il Tomassetti ed altri studiosi la torre insisterebbe sui resti di un sepolcro antico, ma al di sotto di essa esiste soltanto una cavità che è difficile attribuire ad un antico complesso funerario
MEMORIE STORICHE
Il nome deriva sicuramente dalla sua ubicazione al V° miglio della via Flaminia antica, a partire dalle mura serviane e più precisamente dalla Porta Ratumena (oggi Porta del Popolo), a somiglianza di altri luoghi dell’Appia e dell’Ardeatina che prendevano il nome dalla loro distanza da Roma.
Sull’origine del nome non sono mancate altre più fantasiose spiegazioni.
Per alcuni il nome deriverebbe dai fondi “Ad Prata Quintia” del celebre condottiero romano Tito Quinto Cincinnato, che qui si ritirò con la moglie Racilia per riposarsi dalle fatiche sostenute al servizio della Repubblica di Roma: a Quinto lo raggiunsero poi gli ambasciatori per annunciare che il popolo romano lo aveva eletto dittatore contro i Sanniti.
Per altri studiosi il nome deriverebbe dal sepolcro di “Quinto Nasonio”.
Nei pressi della collinetta occupata oggi dalla torre già dal VI secolo risulta una chiesa dedicata a S. Leucio, martire di Brindisi, con annesso un monastero.
Nel secolo VIII il primicerio Mastalo donò al papa Adriano I (772-795) i suoi fondi posti al “quinto” miglio della Flaminia, assieme alla chiesa di S. Leucio: a quei fondi furono annessi altri fondi contigui donati allo stesso pontefice dal secondicerio Gregorio e papa Adriano I ne formò una immensa colonia agricola, chiamata “Domusculta” di S. Leucio, dopo aver restaurato la chiesa che era in abbandono.
In lat. “casa coltivata”, la domusculta costituiva, in età medievale e nel Patrimonio di San Pietro (Lazio e Tuscia meridionale), parte del fundus; qui erano la casa padronale e il terreno, coltivato in economia, senza ricorso a locazioni enfiteutiche o altro.
Le notizie della “Domusculta” fanno difetto fino ad un secolo dopo la sua fondazione: infatti il 21 settembre 885 gli ambasciatori dell’imperatore Ludovico II, che appoggiava il cardinale Anastasio come antipapa del neoeletto pontefice Benedetto III, venuti a Roma per giudicare l’elezione del nuovo papa, si incontrarono proprio nella “basilica” di S. Leucio con i messi e gli inviati di Benedetto III, che assalirono e imprigionarono.
Il giorno dopo gli ambasciatori di Ludovico II convocarono in quella basilica il popolo di Roma e, mentre il popolo si recava al convegno, ne approfittarono per entrare con uomini armati nella Città Leonina e occuparono il Vaticano, facendo prigioniero Benedetto III: ma dopo poche ore il popolo romano, sdegnato, riuscì a liberare il pontefice ed a scacciare dalla città il cardinale Anastasio.
L’episodio dimostra che il borgo di S. Leucio dovette all’epoca essere considerato come l’ultima stazione della Flaminia verso Roma.
Nell’858 Ludovico II, che si era recato a visitare il nuovo pontefice Nicola I, ripartendo da Roma si fermò ed alloggiò “in loco qui Quintus dicitur”, dove venne raggiunto dal papa in persona ed ebbe luogo un sontuoso banchetto.
Col tempo S. Leucio seguì la sorte delle altre “Domuscultae”: i suoi abitanti si allontanarono, trasferendosi al nono miglio della Flaminia.
Verso l’anno 1000 circa la “domusculta” era diventata un semplice casale, come risulta da un diploma di papa Ottone III del 966.
La torre dovrebbe essere stata costruita al tempo di Adriano I , tra il 780 e il 787 (anche se viene ricordato solo a partire dalla metà del XIV secolo), a difesa della “domusculta”: dopo l’abbandono di questa (di cui si è persa oggi ogni traccia) deve essere rimasta soltanto come torre di guardia della riva destra del Tevere, dando poi il nome ai prati circostanti.
La torre comunicava a nord-ovest con la torre poi incorporata nel castello della Crescenza, a nord-est non la torre di Prima Porta ed a sud con la Torre Lazzaroni.
La memoria di S. Leucio rimane ancora in una bolla di papa Gregorio VII (1074-1081) in cui è menzionato quale confine del casale Falcone: in seguito la località compare sempre nominata come Casale o Torre di Quinto, rimasta fino ai giorni nostri.
Nel Medioevo i prati di Tor di Quinto spettarono al Capitolo Vaticano: un documento del 1366 ricorda che la terza parte del Casale, con la torre, apparteneva a “Iacobus Cecchus et Nicolaus fratres de Bulganinis”.
Il 1 dicembre 1474 il cardinale Camerlengo diede tre giorni di tempo a Prospero Santacroce per versare le somme per la riparazione del Ponte di Quinto.
In quest’epoca papa Sisto IV ordinò la costruzione di un ponte presso Tor di Quinto, di cui non rimane traccia, perché la costruzione forse fu dovuta abbandonare per le frodi dell’imprenditore, Nicola da Narni, contro il quale fu poi istruito un processo.
Allo scoppio della guerra tra Venezia, con cui si schierò il papa, ed Ercole I d’Este, signore di Ferrara, con cui si allearono Napoli, Milano e Firenze, un esercito comandato da Roberto Malatesta da Rimini nell’agosto del 1482 stazionò a Prima Porta ed a Quinto, prima di allearsi con le milizie di papa Sisto IV e sconfiggere poi le truppe del principe ereditario di Napoli nelle paludi pontine: ma la morte di Roberto Malatesta impedì di sfruttare in seguito la vittoria e papa Sisto IV stipulò la pace con il Regno di Napoli.
Al 25 febbraio 1525 risale la vendita del “Casali de Quinto” fatta da “Domenico de Militibus” a Emilia, vedova di Marco Bonaventura.
Dal 1563 il Casale “de Tor di Quinto” è diventato di proprietà di “Orazio dei Massimi”.
Del 18 maggio 1566 è la divisione dei Casali di Cornazzano e di Quinto tra i fratelli “de Militibus”.
Al 1567 ed al 1570 risalgono alcune enfiteusi costituite da “Orazio de Massimi” su vari terreni del Casale di Tor di Quinto.
Al 12 gennaio 1607 ed al 1612 risalgono 2 bolle di papa Paolo V di conferma dell’enfiteusi perpetua fatta dal Capitolo Vaticano del Casale di Tor di Quinto.
Nel 1612 parte dei “Prati di Tor di Quinto” fu venduta da Domenico Danieli e Domenico Francesco Cavalieri a Marcantonio Borghese, che nel 1613 ne acquistò anche un’altra parte da Giulio e Francesco Massimo.
Dell’8 aprile 1660 è la pianta della proprietà del principe Borghese, di 84,3 rubbia.
Nel 1770 i prati di Tor di Quinto venivano divisi tra le famiglie Borghese e Marescotti.
Un’iscrizione del 1777, infissa nel Casale di Tor di Quinto, ricorda i proprietari Carlo Locatelli e Andrea Renier, ambasciatori di Venezia a Roma, sormontata dallo stemma del Locatelli stesso.
Nel 1800 la località fu infestata dalla malaria.
FONTI ICONOGRAFICHE
Un preziosissimo disegno del secolo XVIII mostra la torre prima del suo crollo: vi compare un’alta costruzione di 5 piani, coronata da una merlatura di tipo guelfo, con finestre rettangolari e mensole, nella parte superiore, per sostenere il ballatoio.
Dai rilievi sommari eseguiti da Carlo Promis tra il 1834 ed il 1836 (Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale AA.BB.AA., h. 88, f. 109) la torre appare già ridotta al solo primo piano e parte del secondo.
PREESISTENZE ARCHEOLOGICHE
Oltrepassato ponte Milvio la Flaminia antica, da cui si distaccava la Cassia-Clodia, a differenza della moderna costeggiava la riva destra del Tevere (attuale Viale di Tor di Quinto), aggirando la collina (ora Fleming) su cui sorgeva una villa residenziale, forse quella che il poeta Ovidio possedeva al bivio tra Clodia e Flaminia.
Poco dopo il Ponte Flaminio la via antica volgeva verso nord/nord-est, traversando in linea retta i cosiddetti “Prati di Tor di Quinto” e mantenendo tale direzione fino a Prima Porta.
Lunghi tratti del basolato romano della strada antica, con i monumenti funerari che la fiancheggiavano in serie continua sono stati esplorati a partire dal 1984 a nord ed a sud della attuale via Olimpica ed entro gli insediamenti della Marina Militare e dell’Arma dei Carabinieri.
La via Flaminia antica scoperta dentro l’insediamento dell’Arma dei Carabinieri
I sepolcri, maggiormente conservati anche se a breve altezza sul lato occidentale, sono per lo più piccoli colombari, monumenti ad esedra o a podio, spesso in forma di ara con pulvino, o semplici stele, in molti casi di pretoriani, infisse presso l’olla cineraria.
Oltre ai cippi indicanti l’estensione dell’area funeraria, all’esterno degli edifici erano poste statue o stele con i ritratti dei defunti (del I° se. A.C.- II° sec. a.C.).
Sino agli scavi eseguiti tra il 1984 ed il 1985 unico indizio del percorso antico era il rudere del Mausoleo a tamburi gemini sito poco a sud dell’edifico del Tiro a Segno, entro il parco di Tor di Quinto.
Ipotesi di ricostruzione: prospetto e sezione longitudinale
Oggi si conserva in situ solo il nucleo di uno dei due tamburi gemini, mentre il rivestimento marmoreo, in parte recuperato durante gli scavi del 1875, fu successivamente trasportato e quindi ricomposto, dopo un attento studio, dall’archeologo Giacomo Boni sulla via Nomentana, nella proprietà del barone Alberto Blanc.
Il Boni ricostruì uno solo dei due tamburi, realizzando ex novo il basamento in mattoni rossi e il nucleo, decorato dal fregio originale a ghirlande con cippi di coronamento. Il sepolcro è datato in età imperiale, tra il I e il II sec. d.C.
Il mausoleo in via Nomentana
Entro l’ippodromo militare di Tor di Quinto fu scoperto nel 1967 parte di un diverticolo, una strada secondaria che distaccandosi dalla Flaminia doveva probabilmente raggiungere il Tevere: a fianco di essa si estende un complesso artigianale con due fornaci affiancate.
IL PARCO ARCHEOLOGICO LINEARE DELLA VIA FLAMINIA
Nell’ambito degli interventi per Roma Capitale, finanziabili ai sensi della legge n. 396/1990, nel 1991 è stato approvato il progetto di “Parco archeologico lineare della via Flaminia”, che è stato proposto dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e che prevede la sistemazione del tracciato da Ponte Milvio a Malborghetto.
La proposta è stata inserita nel programma degli interventi per Roma Capitale, pubblicato a cura del Comune l’11 aprile 1991: è stata poi approvata dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 177 del 5 giugno 1991 e inviata con prot. n. 15951 del 10 giugno 1991 alla Commissione Nazionale per Roma Capitale, che l’ha a sua volta approvata nella riunione del 18 luglio 1991 .
Dopo la ratifica del Consiglio Comunale, che con deliberazione n. 477 del 27 dicembre 1991 ha fatto propria la proposta, l’allora ministro per le aree urbane, on. Conte, con Decreto Ministeriale del 1 marzo 1992 ha approvato fra i programmi degli interventi per Roma Capitale anche il progetto del parco archeologico lineare della via Flaminia, per un finanziamento previsto di 10 miliardi delle vecchie lire, assieme al parco archeologico lineare della via Veientana Vetere ed alla pista ciclabile Castel Giubileo- Malborghetto .
Ma l’accantonamento dei fondi previsti non è stato mai operato.
PREESISTENZE MONUMENTALI
In epoca medievale poco oltre il Ponte Flaminio è stata costruita una torretta circolare in scaglie di selce miste a frammenti marmorei che prende il nome di Torre Lazzaroni dai proprietari dell’epoca, cui si devono i pesanti restauri che hanno conferito alla torre e al complesso circostante la fisionomia attuale.
La torre sorge a poca distanza da Ponte Milvio, lungo il Viale di Tor di Quinto con accesso ai numeri 58 e 60, sulla riva destra del Tevere e prende il nome dalla famiglia dei Baroni Lazzaroni che ne sono stati proprietari fino al secolo scorso, quando sia la torre che la villa annessa sono state acquistate dall’ENEL.
Fino alla fine dell’800 la località era denominata “Riva della Torre”.
COSTRUZIONI MODERNE
In epoca moderna sono stati dapprima costruiti il Poligono di Tiro e la caserma militare con l’annesso ippodromo.
Una caserma dell’esercito è stata invece costruita a ridosso della via Flaminia Vecchia.
Successivamente, è stata costruito il centro sportivo con i campi di calcio che per tanto tempo sono stati utilizzati per l’allenamento della Società Sportiva Lazio, fino a che non si è trasferita a Formello.
A ridosso del centro sportivo è stata costruita la caserma dei Carabinieri intitolata a Salvo d’Acquisto, due fabbricati e tre palazzine della Marina Militare.
Nell’area racchiusa tra il Tevere, la via Olimpica e Viale di Tor di Quinto, dove inizialmente la RAI voleva costruire il centro che è stato poi spostata a Saxa Rubra, è stato realizzato un parco pubblico con laghetto.
Nell’area contigua al di là dell’Olimpica, racchiusa tra il Tevere, la caserma militare a ridosso dell’ippodromo e viale di Tor di Quinto è stato installato il Grande Teatro.
Sul fronte opposto di Viale di Tor di Quinto, le altre due aree libere a cavallo della via Olimpica vengono periodicamente occupate da padiglioni di esposizione, che vengono smontati alla fine di ogni manifestazione.