Il libro del generale Roberto Vannacci, “Il mondo al contrario”, tira in ballo anche la Lipu, con un cenno al falco grillaio e al contenzioso sulla Orte-Civitavecchia (pagg. 43-44).
Cosa più importante, lo fa nell’ambito di un’agguerrita critica all’ecologismo, alla quale dedica, direttamente o indirettamente, quattro capitoli.
“Tutta questa propaganda che asserirebbe il decadere preoccupante della Natura a causa delle attività umane è pura ideologia basata su falsità” (pag. 328).
“Pseudo organizzazioni“, “confraternite“, “eco-forsennati“, “meteoropatici” (pagg. 30-31).
“Ogni progetto viene ostacolato dai verdi, dagli ambientalisti, dagli amanti degli animali, dagli eco-ansiosi, dai progressisti, dai sostenitori delle trote e delle anguille, dai protettori delle lontre e dai fanatici della legge sulla restaurazione della Natura, tanto cara a Timmermans” (pag. 17).
“E alcuni salverebbero anche gli uccelli” (pag. 344).
Con tutta la buona volontà, è difficile mettere in piedi un ragionamento analitico sul libro.
Si tratta di un agglomerato di pensieri sparsi, semplicistici, costellati di contraddizioni, che da soli non bastano a fare un’opera compiuta.
Il linguaggio spesso sopra le righe complica le cose.
Il generale non me ne voglia se dico che non è così che si scrive un libro con intento sociale.
Questo è il modo con cui si prendono appunti, o si compila un diario, ma non si scrive un libro.
Un libro dovrebbe essere un salto di livello rispetto alla semplice messa nero su bianco delle nostre convinzioni, qualunque siano le nostre convinzioni, e il fatto che le convinzioni del generale siano oggi parecchio popolari (il che, attenzione, non va trascurato) cambia poco.
Anzi, carica di responsabilità maggiori.
Cos’è, allora, “Il mondo al contrario“?
E’ una generica invocazione del “buonsenso“, della “normalità“, del “sentire comune“, contro il “capovolgimento dei valori e delle certezze nelle quali siamo cresciuti“.
Capovolgimento del quale la cultura ecologista, secondo Vannacci, è una delle principali colpevoli.
E qui il generale ha ragione.
L’ecologismo ha capovolto molte convinzioni che hanno guidato il corso dell’umanità: la natura come magazzino inerme e inesauribile, gli animali come macchine, l’innocuità del bruciare carbone o dello sversare veleni nelle acque, il mito dello sviluppo senza fine, la Terra dataci per soggiogarla eccetera.
Questa carica trasformatrice, che è stata in grado di correggere molte storture e rendere il mondo un posto migliore (non perfetto: ne siamo parecchio lontani), è la ragione di fondo della cultura ecologista, unitamente a una cognizione differente della natura e della realtà.
La cultura ecologista non sostiene, come crede Roberto Vannacci, la distruzione della civiltà e il “ritorno al buon selvaggio“, ma sostiene che le società umane devono fare i conti con i limiti fisici del pianeta e con i limiti sociali.
Sostenibilità equa.
Inoltre, la cultura ecologista non sostiene, come ancora crede Roberto Vannacci, che siamo tutti uguali (il “comunismo cosmico“, lo chiama Vannacci, con una definizione che piacerebbe ai Beatles di “Yellow submarine“) ma sostiene che siamo stretti in relazioni, intraspecifiche e interspecifiche, e che la consapevolezza e il buon esercizio di queste relazioni, delicate, complesse, fa la differenza in bene o in male.
La sostenibilità e le relazioni sono intimamente legate.
L’una dipende dalle altre e viceversa, e il nostro futuro dipende da entrambe.
In definitiva, la mia impressione è che al fondo delle 353 pagine de “Il Mondo al contrario” ci siano due cose:
1) una carenza di idee su cosa effettivamente debba essere il mondo “giusto“.
Normalità, sentire comune, famiglia, patria, progresso, buonsenso: tutti proclami che il generale butta lì, un po’ così, facilmente, senza svilupparli in un quadro coerente e argomentato.
Il che è un limite non da poco se il tuo intento è rivedere le regole del mondo.
Un limite peraltro condiviso con tante comunità del dissenso che oggi sono diffuse specialmente in rete.
Moltissima contestazione, pochissima costruzione;
2) il timore delle relazioni.
Una sorta di sacro, segreto timore delle relazioni.
Le quali sono faticose, a volte estenuanti, spesso pericolose, e vanno discusse, costruite, regolate, organizzate, corrette, ma sono il mondo.
Un mondo senza relazioni non è un mondo.
E’ esattamente il contrario del mondo.
E comunque sì, per molte buone ragioni alcuni salverebbero anche gli uccelli.
(Post di Danilo Selvaggi, pubblicato il 30 agosto 2023 sulla sua pagina facebook)