Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Chi si propone di salvare il salvabile di quello che resta dell’ambiente naturale e agricolo in Veneto deve riuscire a produrre e a proporre ai veneti una “contro-narrazione” rispetto al racconto ufficiale, scritto a più mani: sia da coloro che sono al governo della regione con le loro scelte miopi e ladre di futuro, sia da coloro che sono all’opposizione, con la loro incapacità a fare sintesi delle rivendicazioni ambientaliste provenienti dai luoghi naturali e agricoli sotto attacco e la loro “corresponsabilità” nella “condivisione di fondo” del modello di sviluppo portato avanti da chi governa la regione ormai da decenni.
In questo quadro, in attesa dell’esito degli attacchi sovversivi allo spirito della Costituzione da parte di chi governa il paese e la regione in questo momento, la variegata e frammentata “galassia ambientalista” presente in regione se vuole salvare il salvabile di quello che resta dell’ambiente e del paesaggio veneto deve coordinarsi, unirsi, senza prendere la forma partito e mantenendo la caratteristica di movimento dal basso per dare forma a una nuova “classe sociale”, accomunata, nel rispetto delle diversità ideologiche, culturali, religiose, da un profondo rispetto per le leggi della natura.
Una “contro-narrazione” in questa regione può apparire una missione impossibile e in parte lo è.
Lo è perché deve superare il muro altissimo di una narrazione “addomesticata” da un potere ininterrotto di chi guida la regione da quasi due decenni e anche grazie ad un “sistema di informazione” e di “sovrainformazione”, mediatico e social, che è diventato una poderosa arma di “distrazione di massa”: un fiume in piena di notizie, scoop, informazioni locali e nazionali, fake news dove la “complessità”, le “cause” e gli “effetti” dell’ inesorabile degrado ambientale della regione scompaiono come neve al sole.
Una “contro-narrazione” è possibile grazie ad un lavoro di raccolta ed elaborazione dei dati “pesantissimi” sulla situazione ambientale del Veneto: inquinamento di aria, inquinamento dell’acqua, consumo di suolo, perdita di biodiversità, perdita di paesaggio, perdita di sovranità e sicurezza alimentare.
Dati che una volta raccolti ed elaborati devono essere oggetto di un’opera di “divulgazione” che riesca a far posare alla gente veneta degli “sguardi ribelli” sulla “narrazione dominante”.
“Sguardi ribelli” sulla “narrazione dominante” che si devono posare sui “diversi parametri ecologici” della regione che purtroppo finiscono per essere dei primati, ma in negativo, sullo “stato dell’ambiente”: consumo di suolo e le piene più aggressive per l’eccessiva cementificazione, qualità dell’aria nei centri urbani e privi di aree verdi, inquinamento dell’acqua sia per l’uso massiccio di pesticidi (altro primato) in agricoltura e sia per la più grande contaminazione da PFAS attualmente conosciuta al mondo per vastità di territorio e di popolazione coinvolta.
Prendiamo nota di uno di questi “parametri ecologici”, quello del “consumo di suolo” e della “nebbia narrativa” che avvolge questa autentica “emergenza ambientale” della regione, la cui “portata ecologica” non è stata compresa nemmeno dall’opposizione.
Il Veneto, nell’ultima edizione disponibile, quella del 2012 (venti anni fa), della Carta Copertura del Suolo (CCS), alla scala 1:10000 di elevato dettaglio geometrico, composta da 174 Classi e basata su una classificazione del territorio secondo quanto indicato dal progetto europeo CORINE Land Cover, risultava avere una superficie urbanizzata pari a 259.064 ettari pari al 14,06% del territorio regionale (fonte: All.B Legge Regionale per il contenimento del consumo di suolo, 6 giugno 2017, n. 14 ).
Il 14,06% è il doppio della copertura artificiale nazionale (7,13%) e quasi il triplo rispetto alla media dell’Unione Europea del 4,2%.
È in questa realtà che si è innestata nel 2017 la legge regionale del Veneto per “il contenimento del consumo di suolo” che prevede si possano consumare 9727 ettari entro il 2050 distribuiti nei 563 comuni della regione e riserva alla “giunta regionale” la possibilità di disporre di ulteriori 8.530 ettari da poter consumare entro il 2050 qualora alla “rendita fondiaria” presente nei comuni veneti i 9.727 ettari non fossero sufficienti.
Un totale potenziale edificabile di 18257 ettari di suolo fertile da consumare entro il 2050 a cui non concorrono, secondo la “legge regionale per il contenimento del consumo di suolo”, 16 deroghe, vale a dire “16 tipologie di consumo di suolo”, alcune pesantissime in termini di ettari, con tutte le conseguenze ecologiche e climatiche.
In Veneto l’ambientalismo deve impegnarsi in un opera di “divulgazione” che riesca a far posare degli “sguardi ribelli” sulla “narrazione dominante” della realtà ambientale della regione.
Sempre prendendo come riferimento il “parametro ecologico” sul “consumo di suolo”, uno “sguardo ribelle” sulla “narrazione dominante” non può non notare come nel dispiegarsi delle vicende urbanistiche degli ultimi 40 anni l’esercizio in autonomia della competenza concorrente del “governo del territorio” ( art. 117 della Costituzione) abbia comportato un saccheggio di una risorsa naturale “limitata” e una compromissione del paesaggio senza eguali.
Inoltre, le misure “ossimoro” contenute nella legge per il “contenimento del consumo di suolo” stanno caratterizzando il “malgoverno del territorio” e per questo, a mio parere, devono determinare un intervento dello Stato” (art. 117 lettera s: “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali”), a salvaguardia di una “risorsa non rinnovabile” come il suolo (dilapidata e che si continua a dilapidare) che in questa Regione rischia di non poter erogare alla collettività livelli minimi dei suoi “servizi ecosistemici”.
Tra l’altro, una forma di “autonomia differenziata” è già in vigore in questa regione, visto che le “calamità innaturali”, determinate anche dalla cementificazione e dal malgoverno del territorio, vedono la regione Veneto, attraverso la “dichiarazione dello stato di calamità ”, scaricare sullo stato i costi del consumo di suolo.
La “materia urbanistica” avendo effetti di “natura permanente” sul territorio merita una legislazione chiara e uniforme in tutto il territorio nazionale e, pur soffrendo la mancanza di una legge nazionale a tutela del suolo, è evidente nella legge della Regione Veneto l’incongruenza tra lo scopo dichiarato e gli effetti reali che produce sullo “stato dell’ambiente”.
Una legge per il contenimento del consumo di suolo che non tiene conto, a seguito di un consumo di suolo dissennato e considerato l’unico motore di sviluppo della regione, delle modifiche pesanti e diffuse subite nel tempo dal territorio.
Uno “sguardo ribelle” non può accettare la rimozione del rapporto tra “consumo di suolo” e “stato dell’ambiente”.
Il conflitto di attribuzione secondo l’art.127 della Costituzione, oltre che per la regolamentazione della caccia, deve riguardare anche le conseguenze sullo “stato dell’ambiente” di un “governo del territorio” che consente di consumare senza “limiti” una risorsa limitata.
La rimozione del rapporto tra “consumo di suolo” (nelle proporzioni geomorfologiche assunte in regione Veneto) e “stato dell’ambiente”, oltre a interferire sulla competenza esclusiva statale nella “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art.117 lett. s), va contro l’art. 9 della costituzione che “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Per questa ragione la legge ossimoro sul contenimento del consumo di suolo con le sue ricadute ecologiche sullo “stato dell’ambiente” è doppiamente “incostituzionale”.
Ecco cosa intendo quando sostengo che l’ambientalismo deve posare uno “sguardo ribelle” su una “narrazione falsata” della realtà.
Uno ”sguardo ribelle” da parte dell’ambientalismo veneto su tale emergenza ambientale, anche a seguito delle migliaia di proteste di cittadini e comitati preoccupati per la perdita di spazi verdi e agricoli, avrebbe già dovuto portare ad una mobilitazione per una raccolta di firme per chiedere “l’abrogazione” della legge regionale sul suolo.
Schiavon Dante