Il mese scorso in pochi in Italia (il manifesto ne è un’eccezione) si sono accorti che a Barcellona è avvenuta una piccola rivoluzione.
Uno di quegli avvenimenti che sono storici, ma che – ancora di più – marcano uno Zeitgeist.
L’Università di Barcellona (la UB), la prima al mondo, si è impegnata a partire dall’anno accademico 2024-2025 a trasformare la crisi ecosociale in materia obbligatoria e trasversale per tutte le facoltà e tutti i corsi di laurea.
Non è un caso che questo avvenga proprio nella città che è diventata riferimento mondiale per le sue politiche urbanistiche ecofriendly.
Uno dei protagonisti che ha reso possibile una decisione che coinvolgerà i 6.200 professori e i più di 14 mila studenti che l’università sforna ogni anno è il dottorando italiano in sociologia Lorenzo Velotti.
Laureato in scienze politiche a Bologna, con master in antropologia a Londra, ha vissuto in Argentina, Stati Uniti, Grecia, fra attivismo e ricerca.
A Londra ha incontrato come professore l’antropologo e attivista anarchico David Greber, riferimento del movimento Occupy Wall Street, che lo ha trasformato.
Attivo nel No Borders Camp in Grecia nel 2016, si è unito nel 2018 a Extinction Rebellion, un movimento che chiede ai governi con azioni di disobbedienza civile nonviolenta di controllare la crisi climatica, fermare la perdita di biodiversità e minimizzare il collasso ecosociale.
«È stato quello il momento in cui mi sono avvicinato alla lotta ecologista», dice.
In quegli anni è quando venne a Barcellona per iniziare una collaborazione di ricerca su decrescita, giustizia ambientale, ecologia politica.
Come è cominciata la campagna che vi ha portato alla protesta alla UB?
I numeri che si vedevano in piazza con Fridays for Future nel 2019 non ci sono più.
End Fossil è una campagna internazionale nata per radicalizzare il movimento per quanto riguarda la tattica, passando da richieste macro a obiettivi concreti, dagli scioperi alle occupazioni.
Io mi sono unito all’ultimo: mi sono presentato il giorno dell’occupazione, 2 novembre.
Eravamo solo una trentina di persone e non mi era chiaro che arrivassimo da nessuna parte.
E invece…
Alla fine ho deciso che sarei rimasto a dormire nell’accampamento che avevamo fatto nel cortile.
L’università ha iniziato subito a negoziare perché quelli che si erano incatenati all’ingresso si togliessero da lì.
Come movimento End Fossil facemmo subito tre richieste: che l’università si svincolasse da imprese legate ai combustibili fossili, in questo caso Repsol; che si svincolasse dalle banche che fanno business con i fossili, in questo caso da Santander, che è molto pervasiva della vita universitaria; e infine che si istituisse una materia sulla crisi ecosociale trasversale per tutti i corsi.
E come è andata?
Il giorno dopo l’occupazione l’università ci fece arrivare un documento astratto che voleva che firmassimo, dicevano che era un ultimatum.
Ma era solo strategia: non avrebbero smesso veramente di negoziare.
Quindi resistemmo.
Loro non avevano nessuna intenzione di farci stare li all’infinito e neppure di farci sgomberare dalla polizia nella sede storica dell’Università.
Come mai?
Perché, grazie alle lotte degli ultimi anni e al cambio di coscienza che si sta creando nella società riguardo a questo tema, perlomeno a Barcellona, è difficile immaginare che un’università si possa permettere di far sgomberare con la forza dalla polizia degli studenti che stanno chiedendo quello che chiedevamo noi.
Questa è una vittoria frutto di anni di lotte.
Abbiamo continuato a negoziare con il rettorato su ogni virgola del documento che loro ci avevano consegnato, aggiungendo le nostre richieste e smontando i loro argomenti.
Finché siamo riusciti con sudore e lacrime ad arrivare all’accettazione da parte dell’Università della richiesta sulla materia trasversale sulla crisi ecosociale.
E come definiresti la crisi ecosociale?
È un concetto introdotto dall’attivista intellettuale spagnola Yayo Herrero, ecofemminista e antropologa che ha teorizzato la crisi in corso non solo come una crisi climatica, ma come una crisi ecosociale, perché ha a che vedere non solo con una questione puramente biofisica ma è una crisi sistemica della civiltà che ha degli effetti socioeconomici, disuguaglianze globali e nazionali e questioni di genere.
È un sistema che nel suo complesso non sostiene la vita: come esseri umani siamo sia interdipendenti che ecodipendenti.
È una prospettiva più sistemica rispetto alla crisi ecologica.
Cosa ha accettato l’università?
Attraverso un documento firmato dal Rettore, si è impegnata a formare i suoi professori sulla crisi ecosociale e a inserire crediti obbligatori su questo tema per tutte le facoltà e corsi di laurea entro l’anno 2024-2025.
Per controllare questo processo c’è una Commissione che abbiamo nominato noi, formata da accademici di alto prestigio e persone che sappiamo avere anche una prospettiva critica e multidisciplinare.
Credo sia la vittoria più importante.
Ci credete davvero?
Fino a un certo punto.
Rimaniamo vigili come collettivo.
Un’altra clausola che abbiamo inserito è che saremo osservatori di questo processo, ci convocheranno nelle riunioni rilevanti.
Stiamo già pensando a campagne mediatiche e azioni. Il comunicato dell’università è solo una vittoria di un percorso.
Bisogna mantenere un po’ il fiato sul collo all’università.
Chi sono stati i vostri alleati?
Sono i movimenti del passato e gli altri del presente.
I pensionati, che hanno raccontato le lotte per rendere le università luoghi democratici per portare avanti le lotte.
I movimenti per la casa, i movimenti ecologisti, quelli contro le olimpiadi invernali in Catalogna.
E poi, anche prof che sono stati solidali più di quanto ci aspettassimo.
(Intervista di Luca Tancredi Barone, pubblicata con questo articolo il 22 dicembre 2022 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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