Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha parlato di “pianeta da salvare, questione di vita o di morte“; il grande naturalista britannico David Attenborough ha ammonito a non tradire le nuove generazioni.
Il leader ospitante, il giovane presidente sovranista polacco, Andrzej Duda, ha invitato ad agire presto per salvare il clima e ridurre quindi le emissioni, ma in modo “creativo e pragmatico, realista per ogni situazione“.
Così, con vibranti appelli a difendere il futuro dall’inquinamento e dal climate change ma anche sullo sfondo di serie divergenze, si è aperta a Katowice in Polonia – Katowice è la “capitale” dell´inquinatissima regione mineraria della sesta economia dell’Unione europea – l’attesa conferenza internazionale COP24 dedicata appunto al taglio delle emissioni e al salvataggio di clima, aria e ambiente.
Le divergenze sono molteplici: hanno problemi a tagliare le emissioni ai livelli richiesti i paesi di Viségrad (specie Polonia e Slovacchia) ma anche il Nordreno-Westfalia, Bundesland minerario e antico cuore industriale della Repubblica federale.
E paesi poveri come ad esempio l´Honduras, o industrializzati ma con problemi di spesa nel caso, come l’Indonesia, chiedono aiuti internazionali.
Promessi dalla Banca mondiale con finanziamenti di 200 miliardi di dollari dal 2021 al 2025.
Il tempo stringe, non c’è un piano B, hanno sottolineato Guterres, Duda, Attenborough e gli altri maggiori personaggi intervenuti.
Secondo il segretario generale dell’Onu, “malgrado sforzi innegabili di molti, il mondo non sta andando nella giusta direzione, e dobbiamo renderci conto subito che è questione di vita o di morte“.
Ha incalzato col suo forte discorso Sir Richard Attenborough: “Se non prendiamo le decisioni necessarie, andremo verso il collasso della nostra civiltà e l’estinzione della maggior parte delle forme di vita“.
Posizioni decise.
Accenti diversi erano ben riconoscibili nel discorso del capo dello Stato polacco il quale per l´addio ai combustibili fossili e soprattutto al carbone da cui dipende oggi l’80 per cento del fabbisogno energetico della Polonia in boom, ha chiesto “una transizione giusta“, tenendo conto “anche del lavoro di tutti i minatori“.
“Siamo qui per concordare tutti insieme come consentire al mondo di agire sul cambiamento climatico, tutti i paesi devono dimostrare creatività e flessibilità“, ha detto, aprendo i lavori, il viceministro dell’ambiente, Michal Kurtyka, aggiungendo: “Il segretario generale delle Nazioni Unite conta su di noi, non c’è un Piano B“.
La posizione polacca è chiedere che la conferenza produca una dichiarazione la quale garantisca una “giusta transizione” dalla dipendenza dai combustibili fossili a sistemi energetici basati su fonti pulite e rinnovabili.
È proprio sul concetto di giusta transizione che facilmente ci si divide.
“È troppo presto per fissare una data per lo stop al carbone“, ha sottolineato il governatore del Nordreno-Westfalia Armin Laschet, chiedendo una decisione all’unanimità e la quale tenga conto di ogni realtà particolare.
Secondo lui per evitare rischi di crisi di fornitura di energia elettrica la chiusura delle miniere dovrebbe essere riesaminata nel 2030.
È una posizione che piace soprattutto, nell’Unione europea, a due tra i quattro paesi del Gruppo di Viségrad (Polonia Cechia Ungheria Slovacchia).
Cioè appunto a Polonia e Slovacchia per i quali nella loro realtà economica concreta il carbone e nel caso slovacco anche l’inquinantissima lignite sono insostituibili.
Varsavia ha appena lanciato un ambizioso piano a lungo termine per ridurre la dipendenza della sua economia – in solido boom, la sesta nell’Unione europea per prodotto interno lordo e in veloce crescita come tutte quelle di Viségrad – dal carbone, dall’attuale 80 per cento del totale al 30 per cento entro il 2030.
La Polonia vuole compensare il taglio dell’estrazione di carbone non solo con grandi campi eolici ma anche dotandosi di centrali nucleari.
La Slovacchia è già in gran parte dipendente dalle centrali nucleari, ma la sua dura reazione alla pacifica protesta di Greenpeace contro l’impianto della lignite sembra indicare poca disposizione a compromessi.
In Europa i paesi più avanti sulla via dell’addio ai combustibili fossili solo quelli scandinavi.
La Danimarca è il principale produttore ed esportatore mondiale di pale eoliche.
La Svezia, di gran lunga prima potenza industriale del Grande Nord (il 50 per cento del prodotto interno lordo le viene dall’esportazione di manufatti industriali ad alto contenuto tecnologico) e la Norvegia hanno introdotto drastici piani per l’addio ai combustibili inquinanti entro il 2025-2030.
Già oggi la Norvegia sta riconvertendo alla propulsione con scarti di pesce la sua flotta di navi passeggeri ed entrambi i paesi vogliono solo veicoli senza emissioni dal 2030.
Entrambi usano energia pulita per mezzi pubblici incluse le ferrovie, e in Norvegia si studiano aerei a propulsione elettrica per i voli interni.
Quanto ai paesi più poveri occorrono fondi internazionali.
La Banca mondiale ha promesso finanziamenti per 200 miliardi di dollari da fornire tra il 2021 e il 2025.
(Articolo di Andrea Tarquini, pubblicato con questo titolo il 3 dicembre 2018 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”