Le opposizioni protestano a Montecitorio contro l’Autonomia differenziata
Sono ormai oltre 500 mila le firme raccolte per promuovere il referendum contro l’Autonomia differenziata dal Partito Democratico insieme alle altre forze di opposizione, ai principali sindacati e a tanto associazionismo.
Un risultato che va ben oltre le più rosee aspettative che spinge i promotori ad alzare l’asticella continuando la raccolta malgrado l’obiettivo già ampiamente superato, anche grazie alle delibere di cinque consigli regionali che hanno già chiesto la consultazione.
“Puntiamo al milione di firme – spiega il deputato del Partito Democratico, Piero De Luca, capogruppo dem in commissione per le Questioni Regionali, a Today.it – per dare un segnale politico forte al governo Meloni e per far capire che le nostre comunità e i nostri cittadini si oppongono e sono contrarie a questa riforma spacca Italia.
C’è un’onda di mobilitazione popolare che sta dicendo no a un’autonomia che non aiuta la semplificazione del Paese o lo rende più efficiente, ma è un pastrocchio che rompe l’unità e la coesione nazionale.
Gli italiani, in ogni parte della Penisola, se ne stanno rendendo conto“.
Spieghiamo meglio.
Perché pensate che spacchi l’Italia?
“Già oggi abbiamo delle diseguaglianze enormi tra Nord e Sud con una differenza di spesa pro capite che arriva di 5 mila euro in meno per le regioni del meridione: 19 mila contro 14 mila.
Questo si ripercuote, a causa del criterio storico con cui è stata distribuita questa spesa all’interno del Paese, sui servizi essenziali cittadini, che al Sud mancano rispetto ad altre aree d’Italia.
Penso alle mense scolastiche, penso al tempo pieno nelle scuole, penso all’assistenza domiciliare agli anziani, penso al numero di posti letto nei pronto soccorso e al numero di medici.
Dovremmo fare l’esatto opposto di quello che sta facendo il governo, come quando nella passata legislatura decidemmo di destinare il 40 per cento delle risorse del Pnrr al sud per recuperare le diseguaglianze e ricucire il Paese“.
Può esistere un punto di incontro tra la richiesta di maggiori poteri da parte delle Regioni e non creare un’Italia a due o più velocità?
“Come abbiamo detto più volte, alla base di ogni discussione ci deve essere il rispetto della Costituzione, che vuol dire definire finanziariamente i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, cioè prevedere un livello omogeneo di risorse che consenta di assicurare servizi minimi e omogenei di civiltà, trasporto pubblico locale, sanità, politiche sociali, scuole e asili in ogni parte d’Italia.
Questa riforma non prevede questo, ma prevede addirittura la possibilità, per alcune Regioni, di avviare la richiesta di intese per alcune competenze, trattenendo parte della fiscalità regionale nel proprio territorio.
Tutto questo porterà ad avere nei prossimi mesi, non nei prossimi anni, Regioni sempre più ricche e Regioni sempre più povere, cittadini di serie A e cittadini di serie B“.
“La riforma però tradisce anche il Nord – continua Piero De Luca -, i suoi ceti produttivi e dinamici che chiedono più semplificazione, modernizzazione e sburocratizzazione.
La legge Calderoli non fa nulla di tutto questo, ma rende più complesso investire perché avremo venti politiche energetiche, venti politiche infrastrutturali, venti politiche sui trasporti.
Per questo anche Confindustria l’ha criticata.
Inoltre aggraverà le criticità già evidenti, anche al Nord, causate dalla mobilità sanitaria: già oggi abbiamo milioni di persone che non possono curarsi al Sud e per farlo emigrano al Nord.
Nei prossimi anni, con questa riforma, avremo un esodo di massa che porterà a un allungamento delle liste d’attesa anche al Nord, causando un congestionamento dei pronto soccorso e degli ospedali.
Un circolo perverso e vizioso che renderà più debole e più fragile l’intero Paese oltre a rendere impossibile vivere al Sud“.
La maggioranza vi contesta di aver cambiato idea, che c’erano dei presidenti di Regione del Pd che prima erano favorevoli all’Autonomia e oggi sono contrari.
È così?
“Era un impianto profondamente diverso da quello della legge Calderoli che prevede la possibilità di devolvere intere competenze in un quadro di rottura della coesione nazionale, cioè senza finanziare i livelli essenziali delle prestazioni e prevedendo il residuo fiscale, cioè la possibilità che le Regioni non diano più parte della fiscalità allo Stato per finanziare i servizi pubblici in tutta Italia ma li trattengano lì.
Avremo quindi Regioni sempre più ricche e Regioni sempre più povere.
E questo si affianca alle politiche antimeridionaliste che il Governo ha portato avanti finora, come l’indebolimento del Fondo per la perequazione infrastrutturale e la distruzione delle zone economiche speciali che erano uno strumento utile per investire al Mezzogiorno.
Loro hanno in testa il leone di San Marco, noi la semplificazione con al centro il tricolore e l’unità nazionale“.
L’Autonomia sta spaccando anche la stessa maggioranza.
“Le tensioni all’interna maggioranza stanno confermando le preoccupazioni e le critiche che noi dell’opposizione abbiamo messo in campo da subito, che non sono pregiudiziali rispetto alla possibilità di lavorare con le competenze ma sono concrete e fondate su questo impianto secessionista di una riforma che tra l’altro è contestata dalla Cei, da Confindustria, dai pediatri e dagli operatori che sono stati ascoltati durante le audizioni.
Il governo non ha voluto sentire ragioni e ora oltre all’Italia sta spaccando la stessa maggioranza. All’ultimo consiglio dei ministri sono volati stracci tra Matteo Salvini a Antonio Tajani, perché Forza Italia si è resa conto che al Sud rischia di pagare un conto molto salato di questa legge bandiera voluta dalla Lega, ottenuta attraverso uno scambio, un patto di potere, con Fratelli d’Italia che ha ottenuto il sì del Carroccio sul premierato“.
Il premierato è un’altra riforma su cui avete annunciato battaglia.
Cosa temete?
“L’accordo è su premierato per Fratelli d’Italia, riforma della giustizia per Forza Italia e Autonomia differenziata per la Lega.
Il premierato indebolisce il ruolo del presidente della Repubblica, che ha salvato il Paese in momenti drammatici; relega il Parlamento a una funzione meramente notarile e non aumenta la stabilità politica.
Genererà solo un centro di potere plebiscitario di un capo di partito che con questa legge elettorale sceglierà personalmente anche i parlamentari, quando servirebbe una legge come quella per eleggere gli europarlamentari, che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti“.
Torniamo al Sud.
La priorità del governo e del ministro Salvini è il ponte sullo Stretto.
Per voi quali sono le vere emergenze?
“È un progetto che non ha coperture reali e non ha, anche da un punto di vista tecnico, una fattibilità concreta e verificata.
Un progetto che oltretutto era stato duramente contestato dallo stesso Salvini quando era all’opposizione.
Oggi nel mondo l’unico pronte a campata unica paragonabile a quello che dovrebbe sorgere sullo stretto di Messina è in Giappone ed è lungo meno di 2 chilometri, qui si parla di una campata che supera i 3,2 chilometri.
La follia del governo è aver imposto di andare avanti anche in assenza di un reale progetto esecutivo.
Una follia assoluta che peraltro stride con l’emergenza mobilità che c’è nel Mezzogiorno, con i trasporti al collasso e i cittadini diretti in Calabria e Sicilia che vivono un calvario anche a causa del caldo.
Il ponte sullo Stretto è una bandierina, un’opera che probabilmente non vedrà mai la luce, che serve solo a spostare delle risorse che potrebbero servire per potenziare le infrastrutture e semplificare la vita a cittadini e pendolari“.
Lei è capogruppo Pd in commissione Politiche Europee.
A che punto sono i progetti del Pnrr?
“I toni entusiastici di Giorgia Meloni e del ministro Raffaele Fitto sono smentiti dai fatti.
C’è stata un’audizione di Fitto che sembrava una seduta spiritica, perché si cercavano progetti attuati: la verità è che sono ferme quattro gare su cinque e i dati che loro hanno presentato sconfessano la loro stessa ricostruzione.
Sono stati spesi 50 miliardi su oltre 100 ricevuti e quindi dovremo spendere, nei prossimi due anni e mezzo, 140 miliardi.
Il governo non sa come accelerare la messa a terra dei progetti. La spesa del ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini è ferma al 15 per cento, mentre comuni ed enti locali hanno speso 34 miliardi su 40, sconfessando anche la narrazione del governo che li incolpa di rallentare tutto“.
(Articolo di Fabio Salamida, pubblicato con questo titolo il 1 agosto 2024 sul sito online “Today Politica”)