AIDAP interviene sulle fuorvianti interpretazioni “balneari” di certa stampa sulla relazione della Corte dei Conti.
Si sa che d’agosto i media pubblicano notizie che normalmente non troverebbero nemmeno lo spazio di un trafiletto e, soprattutto, si sa che i giornalisti hanno spesso bisogno di dare interpretazioni semplicistiche ma eclatanti per garantire alle notizie il risalto che altrimenti non avrebbero.
Detto questo AIDAP non può non unirsi a chi sta replicando alle fuorvianti letture che alcuni media stanno facendo in questi giorni della relazione che la Corte dei Conti ha presentato al Parlamento sull’attività dei 23 parchi nazionali negli anni dal 2014 al 2016.
Il controllo dei magistrati contabili sull’attività degli Enti Parco è una cosa importantissima, che negli anni ha aiutato non poco a correggere errori, abusi o distorsioni di qualche ente gestore così come di molti settori della Pubblica Amministrazione.
Da qui ad utilizzare la Corte dei Conti per dare un giudizio complessivo sugli Enti Parco c’è però un vero e proprio abisso.
Quale stolto giudicherebbe il valore di un atleta olimpico senza misurare i suoi risultati sportivi ma solamente analizzando la sua dichiarazione dei redditi ?
Allo stesso modo, AIDAP ritiene che per dare un giudizio sull’efficacia ed efficienza dei Parchi nazionali sia necessaria una seria analisi complessiva che parta soprattutto dal raggiungimento degli obiettivi primari assegnati dalla legge a questi specialissimi enti pubblici: conservazione della biodiversità, integrazione uomo-natura e promozione della ricerca, dell’educazione e della fruizione sostenibile.
Senza questo approccio, si rischia di far passare per virtuosi enti che hanno magari tutti i conti e le carte a posto ma che non producono alcun risultato dal punto di vista della loro primaria finalità, così come si rischierebbe (come sta accadendo nel caso in questione) di far passare come enti inutili quei Parchi cha stanno contribuendo in modo determinante a salvare almeno il 10 % del Belpaese e della sua biodiversità, che non a caso è la prima d’Europa.
Una simile analisi complessiva non è ancora mai stata fatta nel nostro Paese (salvo alcune interessanti ma parziali indagini di Federparchi con Unioncamere e del Ministero dell’Ambiente con ISPRA) e chiunque conosce il settore sa bene che se venisse fatta in modo strutturato ne emergerebbero successi clamorosi in termini di biodiversità protetta e ricostituita, di sviluppo durevole instaurato, di importantissime scoperte scientifiche e straordinarie attività educative per adulti e giovani.
La complessità della sfida per la protezione delle aree protette è tale per cui da anni AIDAP chiede la convocazione di una Terza Conferenza nazionale delle Aree Protette, nella quale affiancare le valutazioni sulla gestione degli Enti, certamente importanti, a quelle prioritarie sui risultati ambientali ottenuti dal complesso dei parchi marini e terrestri del Paese.
In quella sede, si potrebbe poi chiarire anche qualche annoso e fastidioso malinteso su cui inciampa anche la Corte dei Conti nella sua relazione: far passare ad esempio i fondi per i dipendenti delle aree protette come soldi “sprecati” o da contenere il più possibile è la dimostrazione di non aver capito come lavorano e cosa fanno i parchi.
Gli stipendi finanziano per esempio l’attività degli esperti che rilasciano le autorizzazioni alle attività nelle aree protette, senza le quali le nostre aree protette sarebbero oggi devastate da consumo di suolo, ecomostri, gare di motocross e tagli boschivi insostenibili.
Allo stesso modo gli stipendi pagano il lavoro di chi fa promozione, educazione ed assistenza ai visitatori, per permettere una fruizione sostenibile, consapevole e di sano svago a contatto con la natura.
Quei fondi spacciati per sprechi finanziano inoltre anche le attività di sorveglianza senza le quali specie rarissime come orsi, lupi, stambecchi e camosci sarebbero ogni giorno a rischio di esistenza.
Ogni dipendente svolge un ruolo fondamentale e semmai l’esigenza è quella di liberare il personale degli enti parco dalla asfissiante burocrazia che innumerevoli leggi oggi scaricano loro addosso.
Insomma, chi contesta ai parchi percentuali troppo alte di fondi per gli stipendi è come se lo contestasse a chi paga gli insegnanti delle scuole: non potrebbe che essere definito, come minimo, uno sciocco.
Stesso discorso per l’autofinanziamento, spesso invocato per gli Enti Parco anche nella relazione della Corte dei Conti, sebbene non esista una indicazione normativa che ne indichi l’obbligatorietà né una percentuale minima.
I 23 Parchi nazionali, lo abbiamo ricordato da anni a chi l’avesse voluto capire, costano al Paese poco più di un caffè all’anno per ogni italiano.
E’, guarda caso, la stessa cifra che l’Italia spende per le spese militari, ma in un solo giorno e non in un anno !
Anche in questo caso, lo sciocco che pensa che siano troppi si faccia avanti e soprattutto ci spieghi perché i parchi dovrebbero autofinanziarsi per le spese ordinarie mentre nessuno se lo aspetta per scuole, sovrintendenze, ministeri ecc.
L’autofinanziamento, pratica certamente virtuosa, dovrebbe valere solo per finanziare progetti speciali e non certo le spese obbligatorie che devono senz’altro essere garantite dallo Stato.
Ecco, AIDAP non vuole certo affermare che i problemi evidenziati dalla Corte dei Conti siano poco importanti e da non sottovalutare, ma segnala con crescente forza che una seria analisi dell’importanza, dell’utilità e dell’efficacia delle aree protette del Paese debba essere fatta in modo serio, analizzando tutti gli aspetti e non certo con articoletti maliziosi da leggere sotto un ombrellone.
Auguri quindi a tutti quelli che in questa calda estate stanno lavorando nei parchi e per i parchi, per garantire ancora la sana convivenza tra l’uomo ed il suo ambiente naturale e che non meritano certo di essere additati come “fallimentari”.
Poi, nella maggiore quiete autunnale o invernale, ci sarà modo, se lo si vorrà, di capire veramente se “gli atleti” dei parchi italiani meritano la medaglia d’oro oppure no !