Su questo stesso sito il 12 luglio 2017 è stato pubblicato un articolo dal titolo “L’Assemblea Capitolina impone alla Giunta di approvare definitivamente entro il prossimo 15 novembre i Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari”, che ha dato il resoconto dello svolgimento della seduta in cui c’è stata l’approvazione della Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 38 dell’11 luglio 2017 (https://www.rodolfobosi.it/lassemblea-capitolina-impone-alla-giunta-di-approvare-definitivamente-entro-il-prossimo-15-novembre-i-piani-di-localizzazione-degli-impianti-pubblicitari/).
Il 26 ottobre 2017 gli avvocati Giuseppe Scavuzzo e Marco Luzza hanno notificato a Roma Capitale il ricorso al TAR del Lazio con cui hanno chiesto l’annullamento, ma senza previa sospensiva, della suddetta deliberazione.
Il ricorso è stato promosso dalla Confederazione Imprese Pubblicitarie Romane Associate (I.R.P.A.) e da ben 32 ditte pubblicitarie, di cui 23 associate all’I.R.P.A. (GREGOR, PUBBLIROMA OUTDOOR, ESOTAS, R.B. PUBBLICITA’, SPOT PUBBLICITA’, D.D.N., PUNTOLINE, MEDIACOM, TRE C PUBBLICITA’, BATTAGE, FABIANO PUBBLICITA’, FARG PUBBLICITA’, SARILA, UNIGAMMA, LOOKING4, PUBBLI STUDIO, MY MAX, STUNT PUBBLICITY, S.E.P., STUDIO IMMAGINE di Angeletti Vincenzo, GRAFICOLOR NEW, PUBBLITONI, ORSA PUBBLICITA’), 4 rappresentate dalla Società Pubblicitarie Associate Romane (S.P.A.R.) (ARS PUBBLICITÀ, NEW POSTER, COSMO PUBBLICITÀ, GBE), 1 rappresentata dalla Associazione Imprese Pubblicità Esterna (A.I.P.E.) (O.P.R.A.) e le rimanenti 4 senza apparente rappresentanza (MEDIA POSTER, FA.DA PUBBLICITÀ, COMUNICANDO LEADER e PICCOLO SPAZIO PUBBLICITÀ).
C’è da mettere in evidenza che tutte le suddette ditte pubblicitarie risultano registrate nell’elenco dei contribuenti inseriti nella Nuova Banca Dati (N.B.D.), aggiornato al 22.3.2017, ad eccezione delle ditte “Fa.Da. Pubblicità” (con sede a Marino) e “Piccolo Spazio Pubblicità” (con sede a Ladispoli) che dovrebbero essere quindi del tutto abusive se avessero impianti istallati a Roma.
C’è da mettere in ulteriore risalto che delle rimanenti 30 ditte pubblicitarie registrate nella Nuova Banca Dati, fatta eccezione per le ditte “My Max” e “Comunicando Leader”, le rimanenti 27 (evidenziate in grassetto di colore rosso) risultano essere ditte pubblicitarie che hanno installato abusivamente i cosiddetti impianti “senza scheda” dichiarati nella Nuova Banca Dati “cessati” (in forza della Deliberazione della Giunta Capitolina n. 425 del 13 dicembre 2013) o “rimossi d’ufficio”.
Si tratta quindi di 30 ditte pubblicitarie che ai sensi del punto 4 della Deliberazione della Deliberazione della Giunta Capitolina n. 342 del 23 ottobre 2015 non avrebbero diritto a partecipare alla procedura di evidenza pubblica relativa agli impianti SPQR da concedere prioritariamente alle imprese che hanno partecipato alla cosiddetta “procedura di riordino”, così come consente il comma 5 Bis dell’art. 7 del vigente Regolamento di Pubblicità.
L’assegnazione degli impianti pubblicitari di proprietà del Comune (SPQR) verrà effettuata subito dopo l’approvazione dei Piani di Localizzazione degli impianti pubblicitari tramite bando o procedimenti comunque di evidenza pubblica da cui sarebbero escluse tutte le suddette 30 ditte pubblicitarie, con obbligatoria rimozione dei loro impianti su tutto il territorio della capitale: conseguentemente i motivi che hanno messo insieme 32 ditte pubblicitarie appartenenti a diverse associazioni di categoria per impugnare la deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 38 dell’11 luglio 2017 sembrano essere legati in modo mal celato alla volontà di mantenere i propri impianti istallati sul territorio il più a lungo possibile, cercando di ritardare strumentalmente l’entrata in vigore della riforma dei cartelloni pubblicitari impugnando tutti gli atti dell’amministrazione capitolina.
A riprova di questa “strategia” si fa sapere che dall’inizio della riforma dei cartelloni pubblicitari ad oggi da parte delle associazioni di categoria e delle ditte pubblicitarie ad esse associate sono stati presentati complessivamente ben 57 ricorsi, di cui 47 al TAR (compreso il presente) ed 11 al Consiglio di Stato: i ricorsi sono stati tutti respinti tranne quelli che hanno ottenuto lo spostamento al 20 maggio del 2015 della conversione degli impianti di mt. 4 x 3 e l’annullamento di una parte dei criteri di redazione dei piani di localizzazione, poi ribaditi dal commissario straordinario nelle veci dell’assemblea capitolina.
La maggioranza di questi ricorsi è stata promossa dalla Confederazione Imprese Pubblicitarie Romane Associate (I.R.P.A.) e da quasi tutte le ditte pubblicitarie ad essa associate, che anche per tale occasione hanno fatto da capofila, impugnando addirittura un atto amministrativo che ha disposto semplicemente la scadenza di un procedimento obbligatorio quale è quello della approvazione definitiva degli impianti pubblicitari.
Una analisi dei 6 motivi di censura portati nel ricorso rivela tutta la strumentalità della iniziativa.
Prima però è opportuno far sapere l’antefatto che ha portato l’Assemblea Capitolina ad approvare la deliberazione impugnata e che riguarda la 27° proposta approvata dalla Giunta Capitolina con decisione n. 14 del 18 novembre 2017 finalizzata a far prendere atto del mancato rispetto per cause di forza maggiore del termine di tempo entro cui si sarebbero dovuti approvare i Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari: la deliberazione impugnata non ne fa alcun cenno, ma cita il parere favorevole che l’8 febbraio 2017 è stato dato alla proposta dalla Commissione Commercio (vedi https://www.rodolfobosi.it/la-commissione-commercio-ha-espresso-parere-favorevole-sulla-proposta-della-giunta-capitolina-di-far-prendere-atto-del-mancato-rispetto-del-termine-di-tempo-entro-cui-si-sarebbero-dovuti-approvare-i-p/?preview_id=50415&preview_nonce=9612dcd21e&_thumbnail_id=-1&preview=true).
Va messo in evidenza a tal riguardo come la 27° proposta della Giunta così come il parere favorevole della Commissione Commercio non siano stati presi in considerazione dall’Assemblea Capitolina, visto che ha preferito imporre alla Giunta Capitolina il termine ultimo del 15 novembre 2017 entro cui approvare i Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari.
Il testo del ricorso inizia dalla descrizione del fatto che si conclude affermando che la deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 38 dell’11 luglio 2107 è stata decisa “del tutto inopinatamente” e sarebbe “illegittima e gravemente lesiva dei diritti e degli interessi dei ricorrenti”.
1° MOTIVO DI CENSURA – Viene portata la presunta violazione e falsa applicazione del 7° comma dell’art. 32 della Normativa Tecnica di Attuazione del PRIP e dell’art. 6 del Regolamento del Decentramento Amministrativo di Roma Capitale.
Il citato 7° comma dell’art. 32 dispone testualmente che “entro sessanta giorni successivi alla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni, la Giunta Capitolina approva il Piano di localizzazione deducendo sulle osservazioni presentate“, mentre l’art. 6 del Regolamento del Decentramento Amministrativo riconosce che i Piani di Localizzazione sono a tutti gli effetti strumento urbanistico particolareggiato di attuazione P.R.I.P. di competenza della Giunta Capitolina ed hanno attinenza con specifici interessi del Municipio che è stato esclusivamente pianificato, per cui il “parere” dei rispettivi Consigli Municipali deve essere reso anche su atti della Giunta Capitolina e non solo su quelli della Assemblea Capitolina.
La presunta violazione e falsa applicazione dei due suddetti disposti normativi consisterebbe anzitutto nell’intrinseco vizio contenuto nei suoi propositi esplicitati però nelle premesse e non nel dispositivo della deliberazione impugnata, laddove viene considerato il “carattere ordinatorio e non perentorio” dei 60 giorni entro cui approvare definitivamente i Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari, per cui a rigor di logica non c’era “alcuna necessità di rimettere in termini la Giunta Capitolina ove i termini in questione non fossero effettivamente non perentori”.
Secondo i ricorrenti la volontà di riprendere il procedimento interrotto sarebbe discutibile nonché illegittima perché “l’Amministrazione avrebbe dovuto ponderarne l’opportunità, verificando se il procedimento in questione si fosse svolto nel rispetto delle prescrizioni regolamentari e rispondesse effettivamente alle mutate esigenze dei Piani, anche alla luce delle forti criticità emerse a seguito della presentazione dei piani”.
Allo stesso riguardo i ricorrenti, dopo avere richiamato da un lato il 1° comma dell’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.I.P. (secondo cui i Piani di Localizzazione vanno adottati dalla Giunta “secondo le modalità previste dal regolamento capitolino sul decentramento amministrativo” e dall’altro lato l’art. 6 del Regolamento del Decentramento amministrativo, arrivano a lamentare che “dal combinato disposto delle norme testé citate, risulta di tutta evidenza che il parere dei Municipi doveva precedere gli incontri con i cittadini se non addirittura la prima deliberazione di adozione dei piani”: ne deriva conseguentemente che “l’Assemblea capitolina avrebbe dovuto rendersi conto dei vizi che inficiavano la validità dell’intero procedimento amministrativo e rigettare la proposta di deliberazione n. 27, anziché riavviare un procedimento palesemente nullo”.
Una censura del genere tradisce malamente la strumentalità della critica, dal momento che sembra ignorare (non si sa quanto volutamente) la normativa vigente in materia.
Al riguardo si fa presente ciò che i ricorrenti sembrano ignorare, vale a dire che il comma 8 dell’art. 6 del Regolamento del Decentramento Amministrativo dispone testualmente che “il Sindaco o l’Assessore delegato per materia devono richiedere altresì al Consiglio Circoscrizionale [oggi Municipale, ndr.] pareri preventivi su atti di competenza … della Giunta Comunale che abbiano attinenza con specifici interessi della Circoscrizione con le stesse modalità e termini indicati nei commi precedenti”.
Per il caso in questione l’atto di competenza è la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 325 del 13 ottobre 2015 con cui è stata adottata una “proposta” dei 15 Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari per ognuno dei quali l’art. 6 del Regolamento del Decentramento Amministrativo di Roma Capitale prevede un termine di 30 giorni ai fini del rilascio di detto parere da parte dei Consigli Municipali: il particolare è volutamente ignorato dai ricorrenti, benché espressamente citato nelle premesse della deliberazione impugnata.
Appare quindi priva di fondamento la censura secondo cui “il parere dei Municipi doveva precedere gli incontri con i cittadini se non addirittura la prima deliberazione di adozione dei piani” non solo perché i “pareri” andavano comunque acquisiti in base alla normativa dopo e non prima l’adozione della “proposta” dei 15 Piani di Localizzazione (che è quindi pienamente legittimata), ma anche perché – come precisato nelle premesse della stessa deliberazione n. 325/2015 – la S.p.A. “Aequa Roma” ha elaborato un progetto preliminare del Piano di Localizzazione del VII Municipio, che negli incontri dell’11 febbraio 2015 e 16 febbraio 2015 è stato illustrato anche ai Presidenti dei Municipi.
La censura appare inoltre priva di fondamento perché ignora che gli incontri con i cittadini debbono essere svolti prima e non dopo i “pareri” dei Consigli Municipi, che sono tenuti a promuoverli per recepire in tutto o in parte o per niente proprio nei “pareri” da esprimere tutte le osservazioni, proposte e istanze presentate dai cittadini, dai comitati di quartiere e dalle associazioni: lo prescrive il “Regolamento di partecipazione dei cittadini alla trasformazione urbana” approvato con Deliberazione n. 57 del 2 marzo 2006, che comporta proprio il procedimento amministrativo descritto nei commi da 3 a 6 dell’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.I.P..
I ricorrenti ignorano inoltre (o fanno finta di ignorare) che non è stato comunque possibile rispettare il termine dei 30 giorni entro cui acquisire il “parere” dei Municipi per dare avvio a questo procedimento per causa delle dimissioni del Sindaco Marino, avvenute il 31 ottobre del 2015, a cui è subentrato il Commissario Francesco Paolo Tronca che non lo ha ugualmente attivato perché è stato deciso di posticiparlo e di non contestualizzarlo ai 15 incontri pubblici che sono prescritti dall’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari (P.R.I.P.) e che si sono tenuti presso ogni Municipio sul rispettivo Piano di Localizzazione dal 4 febbraio al 24 maggio del 2016.
Il motivo è dovuto al fatto che l’art. 32 delle Norme Tecniche del P.R.I.P. fa riferimento espresso soltanto al procedimento di partecipazione dei cittadini e non anche all’obbligo di acquisire il “parere” di competenza dei Municipi, che è invece previsto al 2° comma dell’art. 19 del vigente Regolamento di Pubblicità ai sensi del quale “i piani di localizzazione sono approvati dalla Giunta, sentito il parere dei Municipi”.
Fin dal 2° incontro pubblico sui 15 Piani di Localizzazione degli impianti pubblicitari, che si è tenuto il 5 febbraio del 2016, l’allora Direttrice del Dipartimento Attività Produttive Dott.ssa Silvana Mari ha fatto sapere che ai Municipi sarebbe stata trasmessa richiesta di esprimere “parere” non sui Piani di Localizzazione così come adottati dalla Giunta Capitolina e su cui a quel momento erano chiamati i cittadini singoli o associati (ditte pubblicitarie comprese) a presentare osservazioni, proposte e istanze, ma sui Piani di Localizzazione eventualmente modificati ed integrati a seguito dell’accoglimento dei contributi portati dai cittadini: questo è quanto è poi avvenuto.
2° MOTIVO DI CENSURA – Viene portata la presunta violazione e falsa applicazione dei primi 2 commi dell’art. 62 del D.Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997 e del comma 5 Bis dell’art. 7 e dell’art. 37 del vigente Regolamento di Pubblicità: viene altresì rilevata illogicità ed ingiustizia gravi e manifeste nonché eccesso di potere.
Il citato 1° comma dell’art. 62 del D.Lgs. n. 446/1997 dispone testualmente che “i comuni possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, dell’imposta comunale sulla pubblicità di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa”, mentre il successivo 2° comma detta i criteri a cui si deve informare ogni Regolamento.
Il citato comma 5 Bis dell’art. 7 del vigente Regolamento dà – come già detto precedentemente – priorità alle imprese che hanno partecipato alla cosiddetta “procedura di riordino” nella assegnazione degli impianti SPQR, mentre l’art. 37 dispone che “in caso di contrasto tra le disposizioni del presente Regolamento e quelle dei piani di cui all’art. 19 [P.R.I.P. e Piani di Localizzazione, ndr.] prevalgono le disposizioni del Regolamento”.
La presunta violazione e falsa applicazione dei due suddetti disposti normativi, nonché la rilevata illogicità ed ingiustizia gravi e manifeste e l’eccesso di potere, consisterebbero nella constatazione che la Giunta Capitolina “dopo neanche una settimana dall’inizio del periodo di affissione all’albo pretorio della Deliberazione A. C. n. 38/17, presenta già la proposta di deliberazione definitiva sui piani (assunta al protocollo n. 42195 del 21/07/2017 del Dipartimento Sviluppo Economico Attività Produttive)”, per cui non è plausibile che “uno strumento di pianificazione territoriale di simile importanza, quale il PIALMIP, … venga liquidato in una settimana, nonostante la stessa Assemblea Capitolina abbia ritenuto di concedere un termine di oltre quattro mesi per poter addivenire alla deliberazione di Giunta definitiva”.
La censura di illogicità grave e manifesta si potrebbe ribaltare sugli stessi ricorrenti anzitutto perché imputano alla deliberazione n. 38/2017 fatti che non hanno per rigor di logica nulla a che vedere con essa, dal momento che sono avvenuti dopo la data della approvazione dell’atto impugnato con cui quindi non possono avere nessun nesso logico.
L’essere del tutto fuori tema è attestato inoltre anche dalla censura portata alla “proposta di deliberazione definitiva sui piani” perché “liquidata” ad appena 10 giorni dopo l’approvazione della deliberazione impugnata, di cui – per avvalorare la presunta illogicità ed ingiustizia gravi e manifeste nonché l’eccesso di potere – non ne vengono fatte conoscere volutamente né le ragioni che l’hanno determinata né l’intero contenuto.
Riguardo alla presunta quanto illogica fretta che avrebbe determinato la suddetta proposta c’è da far sapere anzitutto che a distanza di quasi un anno dall’insediamento della Giunta Raggi non c’è stato nessun riavvio della procedura di approvazione dei Piani di Localizzazione, al punto che VAS e Basta Cartelloni hanno promosso un convegno che si è tenuto il 26 giugno 2017 nella sala della Protomoteca del Comune dal titolo si unificativo “Che fine sta facendo la riforma dei cartelloni pubblicitari a Roma?” (vedi https://www.rodolfobosi.it/il-convegno-che-ha-riacceso-i-riflettori-sul-ristagno-della-riforma-dei-cartelloni-pubblicitari-a-roma/): il convegno ha determinato l’accelerazione che ha portato dapprima l’Assemblea Capitolina ad approvare la deliberazione impugnata e poi il Dipartimento Sviluppo Economico Attività Produttive a predisporre la proposta di deliberazione definitiva, il cui testo però non è stato esattamente quello della Deliberazione Giunta Capitolina n. 243 del 13 novembre 2017 con cui sono stati approvati definitivamente i 15 Piani di Localizzazione degli Impianti Pubblicitari.
I ricorrenti evitano di far sapere che alla data della proposta di deliberazione definitiva non era stato ancora avviato il procedimento di acquisizione dei “pareri” dei Consigli Municipali che è stato richiesto dal Segretariato Generale l’11 agosto 2017 proprio sullo schema di deliberazione definitiva e su tutti gli atti fin lì prodotti, ma con una illogicità manifesta rispetto alla censura portata ne fanno conoscere indirettamente il procedimento avviato, perché fanno riferimento espresso al “comunicato apparso sul sito istituzionale del Municipio I il 13/09/2017” che invitava tutte le associazioni ed i cittadini interessati a partecipare alla seduta della Commissione Commercio convocata per il 15 settembre per portare un loro contributo.
Alla riunione del 15 settembre 2017 ha partecipato personalmente anche l’Avv. Giuseppe Scavuzzo che ora a nome delle ditte ricorrenti lamenta che tra gli allegati sottoposti al Consiglio del I Municipio mancherebbero le osservazioni presentate dalla associazione di categoria I.R.P.A., senza accorgersi della loro ulteriore illogicità manifesta dal momento che nell’Allegato A allo proposta di deliberazione definitiva da loro stessi citata figura anche fra le osservazioni di carattere generale e riferiti all’intero territorio comunale il documento presentato dall’IRPA, con la annotazione che è “pervenuto il 24/02/2016 in Avvocatura (vedi nota Prot. QH/16875 del 17/03/2016)”.
Del tutto fuori tema, perché sicuramente non attinente con l’oggetto del ricorso, i ricorrenti ricordano il presunto vizio di legittimità relativo alla posizione degli impianti pubblicitari “speciali” di mt. 3,20 x 2,40 che i Piani di Localizzazione prevedono anche più o meno all’interno del Grande Raccordo Anulare, dove sono vietati gli impianti pubblicitari normali aventi una superficie superiore ai 6 metri quadri: arrivano ad affermare come “la questione della perimetrazione sia stata sollevata anche da un prestigioso studio universitario che ha comportato uno slittamento nell’approvazione delle deliberazione di rimessione in termini”, riguardo al quale citano strumentalmente anche l’interrogazione presentata il 5 giugno 2017 dal consigliere di opposizione Stefano Fassina e la risposta data con nota dell’Assessore Adriano Meloni del 7 luglio 2017 (vedi https://www.rodolfobosi.it/risposta-dellassessore-adriano-meloni-alla-interrogazione-urgente-del-cons-stefano-fassina/).
Quanto al prestigioso “studio universitario” c’è da far sapere che è stato illustrato dal Prof. Carlo Valorani in occasione di un convegno organizzato il 21 febbraio 2017 dalla associazione di categoria Associane Imprese Pubblicità Esterna (A.I.P.E.) che l’ha pagato (vedi https://www.rodolfobosi.it/il-convegno-della-i-p-e-sul-futuro-della-pubblicita-esterna-a-roma/).
Il sottoscritto ha fatto una approfondita analisi della Relazione Tecnica del Prof. Carlo Valorani che ha rilevato 33 presunti punti di “non coerenza“: con Nota VAS prot. n. 5 del 21 maggio 2017 trasmessa alla Amministrazione Capitolina (con allegate le “OSSERVAZIONI ALLA RICERCA DEL DIPARTIMENTO DPTA“) ha fatto presente che su ognuna delle 33 “non coerenze” ha fatto le sue puntuali controdeduzioni per arrivare alla conclusione che sono quasi tutte strumentalmente “cavillose” e comunque del tutto inutili e che solo tre di esse meritano di essere prese in considerazione in quanto “istanze” obbligatoriamente da rispettare, ma si tratta però di istanze anch’esse del tutto inutili in quanto già rilevate dal sottoscritto nelle osservazioni presentate entro i termini di tempo ai Piani di Localizzazione nell’ambito degli incontri pubblici tenuti in ognuno dei 15 Municipi (che sono state peraltro accolte).
I ricorrenti fanno presente che il suddetto rilievo non sarebbe stato preso in considerazione “nella a dir poco lacunosa prospettazione delle problematiche emerse in sede di osservazioni ai piani”, raggruppate per esigenze di sintesi in 5 tematiche consimili.
I ricorrenti prendono lo spunto delle “non coerenze” rilevate dallo “studio universitario” riguardo al servizio di Bike Sharing finanziato dalla pubblicità per arrivare a sostenere che è ormai “un modello obsoleto, avendo già le città di Firenze e di Milano optato per la nuova forma del bike sharing a flusso libero, ossia senza stazioni di presa e rilascio delle biciclette”.
L’argomento portato è del tutto fuori tema ed appare quindi del tutto strumentale anche per la semplice considerazione che il servizio di bike sharing a flusso libero è stato inaugurato a Firenze nel mese di agosto, mentre è stato introdotto anche a Milano a settembre affiancando peraltro il servizio di bike sharing finanziato dalla pubblicità che gestisce la ditta “Clear Channel”.
Al riguardo affermano che “infrastrutture come rastrelliere e parcheggi costano, occupano spazio e possono essere tutte piene, costringendo chi deve lasciare la propria bicicletta a deviare il percorso e allontanarsi dalla destinazione per raggiungere una postazione più comoda”.
Da una simile censura, a parte l’essere del tutto fuori tema, emerge tutta la strumentalità per il semplice fatto che la futura “gestione” del servizio di bike sharing finanziato dalla pubblicità può prevedere una sua integrazione con il servizio di bici a flusso libero, come peraltro hanno proposto le associazioni VAS e Basta cartelloni con Nota VAS prot. n. 14 del 27 settembre 2017.
3° MOTIVO DI CENSURA – Viene portata la presunta violazione e falsa applicazione degli articoli della Costituzione n. 2 (sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo), n. 3 (sulla pari dignità ed uguaglianza dei cittadini davanti alla legge), n. 4 (sul diritto asl lavoro di tutti i cittadini), n. 35 (sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni), n. 41 (su una libera iniziativa economica privata) e n. 97 (sul buon andamento e imparzialità delle amministrazioni pubbliche) e dell’art. 6 del Regolamento Decentramento Amministrativo di Roma Capitale: viene altresì rilevata illogicità ed ingiustizia gravi e manifeste nonché eccesso di potere.
I ricorrenti richiamano lo scopo del Regolamento di Pubblicità che era “quello di semplificare la procedura di settore, prevedendo ad esempio un unico canone (CIP) in luogo della vecchia imposta sulla pubblicità, del canone per l’occupazione del suolo pubblico e della TOSAP”, riuscendo anche ad aumentare il gettito delle proprie entrate, per arrivare a sostenere che “è in questo contesto, anzi fuori contesto, che si inserisce la Deliberazione impugnata, ponendosi quale corpo estraneo al Regolamento ed al Piano Regolatore per la modifica dei quali è necessario il previo parere dei Municipi”, per cui le “previsioni” indicate nelle premesse dell’atto impugnato “si traducono in vere e proprie modifiche dell’art. 32 del Piano Regolatore, che, come tali, non potevano essere disposte dall’Assemblea Capitolina senza il previo parere dei municipi”.
I ricorrenti arrivano alla conclusione che “è previsto quindi tutt’altro iter ed adempimenti quali la preventiva espressione dei pareri dei singoli Municipi sulla proposta di deliberazione, elementi tutti, che nella specie sono mancati, e rendono nulla la Deliberazione impugnata e, comunque, sicuramente non valida, ai fini della modifica delle norme contenute nel piano regolatore”.
Dal momento che il termine dei 60 giorni non è perentorio e che il dispositivo della deliberazione impugnata riguarda semplicemente una scadenza entro cui la Giunta deve approvare definitivamente i Piani di Localizzazione nel rispetto anche del 2° comma dell’art. 19 del vigente Regolamento di Pubblicità (sistematicamente non citato dai ricorrenti), la deliberazione dell’Assemblea Capitolina non ha modificato alcunché, come del resto è stato dimostrato nelle controdeduzioni al 1° motivo di censura.
In modo del tutto strumentale, perché senza nessuno stretto nesso logico, i ricorrenti legano la suddetta censura alla presunta lesione dei loro diritti garantiti dal comma 5 Bis dell’art. 7 del Regolamento di Pubblicità, quando non risulta che siano stati messi minimamente in discussione.
4° MOTIVO DI CENSURA – Viene portata la presunta violazione e falsa applicazione del comma 5 Bis dell’art. 7 del vigente Regolamento di Pubblicità: viene altresì rilevata illogicità ed ingiustizia gravi e manifeste nonché eccesso di potere.
Le ditte ricorrenti lamentano che “si sono viste cancellare il diritto al rinnovo delle concessioni, .. , ridurre drasticamente la superficie complessiva degli impianti pubblicitari loro destinati in via privilegiata … e che ora appunto con la deliberazione in questione rischiano di vedere approvare dei piani palesemente illegittimi”.
La scadenza al 31 dicembre del 2014 di tutte le autorizzazioni e concessioni è stata disposta dal 9° comma dell’art. 34 del vigente Regolamento di Pubblicità ed è stata sancita dalla Seconda Sezione del TAR del Lazio con Sentenza n. 2283 del 22 febbraio 2016, che rende pienamente legittimato tale provvesdimento (vedi https://www.rodolfobosi.it/con-una-sentenza-storica-la-seconda-sezione-del-tar-ha-posto-una-pietra-miliare-nel-settore-dellimpiantistica-pubblicitaria-di-roma-rigettando-quasi-tutte-le-censure-portate-da-certe-associ/).
La superficie complessiva degli impianti pubblicitari SPQR è stata stabilita dal 2° comma dell’art. 21 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.I.P. ai sensi del quale “in ciascun ambito territoriale il 29% della suddetta superficie espositiva è riservata ad impianti di proprietà di Roma Capitale affidati in concessione”: si tratta di una disposizione normativa di cui è stata sancita la piena legittimità sempre dalla sentenza della Seconda Sezione del TAR del Lazio n. 2283 del 22 febbraio 2016.
Quanto ai Piani di Localizzazione “palesemente illegittimi” la S.p.A. “Aequa Roma” che li ha redatti ha rispettato scrupolosamente tutte le suddette disposizioni normative e le indicazioni fornite dall’Assessorato alle Attività Produttive, per cui la censura appare priva di fondamento e comunque non pienamente attinente con l’atto impugnato.
5° MOTIVO DI CENSURA – Viene nuovamente portata la presunta violazione e falsa applicazione degli articoli della Costituzione n. 2 (sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo), n. 3 (sulla pari dignità ed uguaglianza dei cittadini davanti alla legge), n. 4 (sul diritto asl lavoro di tutti i cittadini), n. 35 (sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni), n. 41 (su una libera iniziativa economica privata) e n. 97 (sul buon andamento e imparzialità delle amministrazioni pubbliche) e del 3° comma dell’art. 11 e dell’art. 34 della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 37 del 30 marzo 2009 con cui all’epoca del Sindaco Gianni Alemanno è stato approvato il Regolamento di Pubblicità precedente all’attuale.
Il testo del 3° comma dell’art. 11 del Regolamento “Alemanno”, che riguarda la disciplina della “Cessione d’azienda o ramo d’azienda”, non è stato modificato dal vigente Regolamento di Pubblicità, a differenza invece dell’art. 34 (relativo alle “Norme transitorie”) il cui 9° comma ha fissato la scadenza al 31.12.2014 di tutte le autorizzazioni e concessioni.
Le ricorrenti lamentano proprio l’abrogazione del comma 9 dell’art. 34 del vecchio Regolamento di Pubblicità la cui legittimità è stata sancita dalla sentenza della Seconda Sezione del TAR del Lazio n. 2283 del 22 febbraio 2016.
6° MOTIVO DI CENSURA – Viene nuovamente portata la presunta violazione e falsa applicazione degli articoli della Costituzione n. 3 (sulla pari dignità ed uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) e n. 41 (su una libera iniziativa economica privata) e 97 (sul buon andamento e imparzialità delle amministrazioni pubbliche) e dei canoni e principi di correttezza, buona fede e imparzialità.
Le ditte ricorrenti giustificano questa 6° censura sulla base dei motivi precedenti che a loro giudizio “risultano pienamente fondati, e non meri vizi formali, svelando in modo chiaro ed inequivoco la natura ingiusta di un provvedimento lesivo dei diritti delle ricorrenti, limitate e frustrate illegittimamente pure nell’esercizio della propria libertà di inziativa economica (art. 41 della Costituzione)”.
Il 3° comma dell’art. 41 della Costituzione dispone testualmente che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”: è quanto ha fatto correttamente l’Amministrazione Capitolina, sancito non solo dalla della Seconda Sezione del TAR del Lazio n. 2283 del 22 febbraio 2016, ma supportato anche dallaSentenza del Consiglio di Stato n. 5 del 25 febbraio 2013.
Le ditte ricorrenti chiedono alla fine l’annullamento della deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 38 dell’11 luglio 2017, “con espressa riserva di richiedere la sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato, qualora il medesimo dovesse essere messo in esecuzione”.
La deliberazione impugnata è stata messa in esecuzione ma non risulta che ne sia stata chiesta la sospensiva.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi