Recentemente nel corso di un evento tenutosi a Pescasseroli sul tema “La natura d’Italia: 25 anni di aree protette”, dove sono stati illustrati i contenuti delle proposte di modifica alla Legge 394/1991, un illustre esponente delle istituzioni ha affermato che le aree protette sono aree marginali.
Tale affermazione ci lascia perplessi in quanto nemmeno l’onorevole Emilio Sipari, promotore della legge istitutiva del Parco Nazionale d’Abruzzo, nel lontano 1923 l’avrebbe evocata.
Anzi l’illustre parlamentare abruzzese, nella circostanziata relazione di accompagnamento alla legge, evidenziando le peculiarità naturalistiche dell’area del centro appennino, che avevano favorito la salvaguardia di specie a rischio di estinzione, come l’Orso bruno marsicano e il Camoscio appenninico, non trascurò il frutto che la conservazione di quel territorio avrebbe comportato per le economie locali, promuovendo strutture alberghiere e servizi, in grado di richiamare e accogliere migliaia di turisti provenienti dalle vicine metropoli di Roma e Napoli.
Un’illuminata intuizione, questa, per un perfetto connubio tra conservazione e attività economiche compatibili.
Il seguito della storia del Parco, connotato da alterne vicissitudini, ha prodotto l’innovativa pianificazione territoriale dell’area protetta con vari gradi di tutela, recepita in seguito dalla legge quadro del 1991: dalla zona di riserva integrale a quella delle attività compatibili, termine questo oggidì impropriamente confuso con quello di sviluppo sostenibile.
Una differenza terminologica ed epistemologica da non trascurare.
Dovremmo domandarci: compatibile con cosa?
Con la protezione del patrimonio naturalistico, storico, architettonico, con le identità paesaggistiche e con le tradizioni culturali.
Invece, il concetto di sviluppo sostenibile è collegato a una riconversione diffusa dell’economia, come definito dal Rapporto Brundtland “un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.
Infatti, sussiste una diversità sostanziale tra l’impostazione originaria della legge quadro sui parchi del 1991 e quella oggi in discussione al parlamento, che avrebbe la pretesa di innovare la legge originaria.
Proprio il pensiero del legislatore, autore delle proposte di modifica – stravolgendo le linee guida dettate dal I.U.N.C. – lo evidenzia chiaramente nelle relazioni che hanno accompagnato l’evoluzione del disegno di legge – enfatizzando le finalità del parco verso un astruso concetto di sviluppo sostenibile.
In verità tale concetto, declamato nella pubblicistica, dovrebbe coinvolgere una riconversione diffusa – si badi bene, del territorio non protetto – delle attività economiche che hanno prodotto un pesante impatto sul pianeta, così come auspicato nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, per ridurre la povertà, migliorare la qualità dell’ambiente, garantire un benessere diffuso, acqua e servizi igienici, salute per tutti, che ogni paese dovrebbe recepire.
Nella sfibrante attesa che ciò avvenga, i parchi potrebbero assumere il ruolo di stampella di un sistema economico globalmente insostenibile e contro natura, per le ambiguità nelle scelte e nelle strategie di protezione delle aree protette.
A proposito di aree marginali, mi chiedo: sarebbero oggi da considerare “marginali”, nel senso di stare a margine, le aree protette oppure i territori identificati come S.I.N, i cosiddetti Siti d’interesse nazionale, strapazzati per decine di anni da un pesantissimo impatto ambientale che ha contaminato aria, suolo, acque, catene alimentari, la vita e la salute delle popolazioni locali?
Quelle stesse aree ora soggette ad attività di bonifica?
In verità l’aggettivo “marginale” può assumere diversi significati secondo la situazione sociale ed economica in cui si pone ma presuppone, comunque, una situazione di emarginazione da un contesto di sostenibilità ambientale e sociale.
Allora è proprio in questi territori che dovrebbe concentrarsi una riconversione socio-economica adottando una strategia di sviluppo sostenibile eliminando, in primis, l’immissione di sostanze inquinanti e di scorie pregiudizievoli per l’ambiente e per la salute.
Senza entrare nel merito dei singoli aspetti della proposta di modifica alla legge 394, sufficientemente commentate e in parte sottoposte a censure da parte dell’arcipelago ambientalista, mi limito a porre qualche interrogativo su quale sia la logica che ha partorito la normativa in discussione alla camera.
Ebbene, nella legge di modifica alla 394, emerge uno stravolgimento del concetto di area protetta, frutto di mediazioni e compromessi, per far spazio alle richieste di occupazione di poltrone e alle velleità ingiustificate di alcune associazioni e di qualche amministratore locale; nello stesso tempo mettendo in minoranza quelle rappresentanze qualificate delle società scientifiche e della società civile tra cui le associazioni ambientaliste, portatrici d’interessi diffusi e di valori protezionistici.
Per fortuna, la storia dei parchi ci lascia in eredità diverse contesti, dove i concetti di salvaguardia ambientale e di attività compatibili si sono radicati in profondità; tra questi le piccole comunità del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che nel corso della storia hanno acquisito consapevolezza sul concetto di compatibilità.
Frequentemente sono le popolazioni e gli amministratori locali che sollecitano l’Ente parco a intraprendere iniziative di tutela in un perfetto connubio con proposte di attività compatibili; dove i piccoli centri storici vengono valorizzati e rivalutati di identità e tradizioni che ne connotano le loro peculiarità, attrezzati di graziose e accoglienti strutture alberghiere e d’idonei servizi, stimolo per un allettante richiamo turistico.
Allora, per chi ha acquisito lungimiranza sul valore delle aree protette, la proposta di legge che modifica l’istituzione delle aree protette potrebbe voler significare il ritorno a un lontano passato, facendo riemergere quella verità storica di Erminio Sipari, fondatore dell’antico Parco Nazionale.
(Articolo di Aldo Di Benedetto, già direttore dell’Ente Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, pubblicato con questo titolo il 6 aprile 2017 sul sito online “greenreport.it”)