Resoconto stenografico dell’Assemblea – Seduta n. 767 di lunedì 27 marzo 2017
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Kronbichler. Ne ha facoltà.
FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, Presidente.
Sono reduce dalla conferenza stampa organizzata e convocata dalla collega Serena Pellegrino e devo dire sono rimasto impressionato dalla prominenza, dalla notorietà, dal prestigio di chi è intervenuto.
C’era il gotha dell’ambientalismo di questo Paese e il giudizio, signor Presidente, onore a chi ce l’ha.
Vorrei dire alcune cose che ho sentito (vedendo i nomi che di certo non piaceranno al presidente della Commissione né al relatore e che non possono piacere a noi tutti che legiferiamo qui): Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF – mi pare – riferendosi e parlando di questa proposta di legge, la chiama un disastro; Annamaria Procacci riassume l’obiettivo di questa proposta di legge, nelle parole: “dentro i fucili. fuori le competenze” (intendendo dentro, nei parchi); Giorgio Boscagli del Gruppo dei trenta la chiama “sfascia parchi”; Grazia Francescato di Greenaccord (non conosco ancora questa associazione) parla di controriforma delle zone protette; Dante Caserta del WWF – voi conoscete molto di più di me tutte queste persone perché sono tutte persone note – dice che questa proposta di legge non deve diventare un giocattolo degli ambientalisti; Danilo Selvaggi della LIPU parla di sbilanciamento localistico; Ebe Giacometti di Italia Nostra dice che è imbarazzante, riferendosi alla governance; Carlo Alberto Pinelli di Mountain Wilderness International si sente (forse su questo potete ancora rimediare) confinato dalle associazioni che hanno voce in capitolo perché dice che, non rappresentando dieci regioni, non è ammesso al tavolo delle associazioni che possono parlare.
Forse ci vuole anche qui una deroga per le regioni montane.
E avanti così: meglio la legge n. 394 vera che la legge n. 394 fasulla, che sarebbe quella in esame (non so chi abbia detto ancora questo).
Signor Presidente, tutti qui hanno richiamato l’importanza dell’approvazione ventisei anni fa della legge sulle aree protette, la cosiddetta n. 394 del 1991.
Spesso si dice che è un segno di vecchiaia quando si glorifica troppo il proprio passato e la propria giovinezza, però sicuramente deve far pensare se questa gente, insomma il gotha del protezionismo e delle associazioni, danno questi giudizi.
La legge sulle aree protette ha rappresentato per il nostro Paese in tutti questi anni un insieme di azioni e, alla fine, di risultati assolutamente fondamentali.
La legge – vorrei ricordarlo – nasce non solo sull’onda di un movimento ambientalista che si affermava con forza allora all’interno del Paese ma soprattutto dalla convinzione, allora largamente condivisa, che il sistema naturale del nostro Paese è composto da una sintesi a volte anche miracolosa tra storia, natura e azione dell’uomo.
Penso anche ai paesaggi agricoli, al fatto che dovessero essere conservati e quindi dovessero disporre di un sistema di protezione.
Qual era la finalità per cui nascevano i parchi e le aree protette?
La loro mission fondamentale era la conservazione della natura.
I primi parchi nascono e si consolidano per tale scopo.
La collega ha citato il parco dell’Abruzzo e il Gran Paradiso e devo aggiungere anche il nostro Parco dello Stelvio: su questo forse è utile precisare, poiché è stato organizzato in un nuovo modo e anche contestato ultimamente proprio alla fine dell’anno scorso, che il Parco dello Stelvio a lungo è stato percepito dalla popolazione sudtirolese come quasi premeditatamente imposto dai fascisti, quasi per far male alla popolazione.
Ora abbiamo avuto anche questa norma di attuazione dello Statuto di autonomia in cui si è organizzato il nuovo modello del Parco e sono contento che non sono stati accettati tutti gli appetiti degli amministratori locali; si è salvato perché era in pericolo quasi tutto, c’era veramente il pericolo che il Parco dello Stelvio si smembrasse.
Almeno è stata salvata l’unicità del parco, anche il nome di parco nazionale e il parere obbligatorio del Ministero su tutto.
Questo lo dico perché forse anche qui certe associazioni protezioniste dovrebbero fare un po’ di autocritica anche sul fatto che, invocando sempre il controllo centrale dello Stato, l’hanno fatto anche a torto, ritenendo che tutto ciò che è proprio dello Stato sarebbe protezione, invece abbiamo visto nell’esempio del Parco nazionale dello Stelvio che l’amministrazione centralistica dello Stato si è manifestata soprattutto in trascuratezza e in abbandono.
Adesso certo c’è da stare attenti che gli amministratori locali, cioè le due province autonome di Trento e di Bolzano nonché la regione della Lombardia, non facciano gli interessi propri però qui si è trovata secondo me una soluzione che dovrebbe andar bene anche alle associazioni protezioniste.
I primi parchi nascono con la legge e con il tempo però molto spesso si è determinata una forte convinzione: abbiamo avuto moltissimi casi in cui amministrazioni e comuni, che erano esclusi dal perimetro del parco, chiedevano di entrarvi.
Quindi c’era questa onda positiva a favore dei parchi.
Infatti il sistema dei parchi ha rappresentato per il nostro Paese un motore di sviluppo vero, sano e di qualità e un argine fondamentale al consumo del suolo in un Paese come l’Italia in cui ancora oggi combattiamo contro il consumo di suolo.
Mentre parliamo e siamo qui c’è stata una bella relazione del mio collega Gianni Melilla, due mesi fa qui, alla Camera sulla tutela dell’ambiente, sui parchi in Italia in cui sono riportate cifre interessantissime.
Il nostro Paese ha un ritmo di consumo del suolo di sette metri quadrati al secondo: quindi più di 55 ettari al giorno, un valore che è passato dal 2,7 per cento dagli anni Cinquanta al 7 per cento del 2014 e siamo già nel 2017.
Ecco, tutto ciò aveva bisogno di politiche serie e costanti nel campo delle risorse; invece, gli ultimi anni sono stati pesanti.
Infatti, mentre i parchi hanno dato tutto questo al nostro Paese, la politica e i Governi hanno dato poco.
Vi è stato un taglio costante di risorse e di piante organiche; pertanto, l’intervento sulla legge n. 394 del 1991 doveva concentrarsi, innanzitutto, sulla questione delle risorse.
Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad una riforma della legge n. 394, che tutti definiscono una buona legge, che ha l’ambizione di essere pressoché a costo zero.
Questa legge, come tutti hanno sottolineato, aveva certamente bisogno di essere aggiornata, benissimo, ma intanto avremmo dovuto risolvere i nodi strutturali, in primis quello delle risorse, e non in questo modo.
L’altra questione fondamentale, a nostro avviso, riguarda la governance: parliamoci chiaro, quando ho parlato dei successi della legge n. 394 e dei parchi, questi sono stati ottenuti grazie a un’impostazione che era quella secondo cui il patrimonio naturale faunistico e della biodiversità sono patrimonio indisponibile dello Stato.
Quindi, proprio nella governance questo chiarissimo assunto costituzionale doveva essere rafforzato.
Nel definire la governance occorre puntare a operazioni che premino e incentivino la qualità, anziché consentire che la stessa governance possa essere pressata nel fianco e permeata da interessi locali; doveva essere rafforzata l’impostazione che vede una rappresentanza degli interessi generali e diffusi, delle competenze e dell’impostazione scientifica.
Competenze, interessi generali e diffusi e approccio scientifico: questo è ciò che ha permesso ai parchi di crescere in questi anni e a questo dobbiamo puntare per rafforzare la governance.
Invece, quello che veramente balza agli occhi è che si è fatta un’operazione completamente all’inverso, per cui la governance dei parchi è stata messa al servizio – questo è l’elemento più pericoloso – di interessi locali.
Lo sappiamo perfettamente: se la legge n. 394, ventisei anni fa, avesse indicato nella governance degli enti gestori direttamente i comuni, non avremmo avuto in questi venticinque anni i risultati che sappiamo.
Dobbiamo riconoscerlo: le conflittualità che ci siamo trovati di fronte in questi anni sono state esattamente quelle che vedevano, purtroppo, contrapposte un’idea, magari sbagliata, di sviluppo e il parco stesso.
Il parco ha rappresentato, invece, la possibilità di conservare, tutelare e mettere in campo idee di sviluppo completamente diverse e produttive per i territori.
Molti dei territori marginali del nostro Paese, se non ci fossero stati i parchi, sarebbero caduti nell’abbandono totale; invece, questa impostazione ha prodotto risultati.
Un’altra questione delicata riguarda la gestione della fauna: si sono contrapposti gli interessi tra chi pensa bisognasse trovare strumenti e accorgimenti per far sì che in qualche modo l’attività venatoria tornasse in house e chi, come noi, vi ha messo e vi mette in guardia.
Il fatto di non aver chiarito questo aspetto, di non aver fatto in modo che il piano di gestione faunistica fosse al servizio dell’impostazione scientifica per la tutela della biodiversità e delle specie e per la protezione della biodiversità, anche animale, e quindi aver lasciato il cono d’ombra della commistione con l’attività venatoria, vengano effettuate dal personale e solo dal personale interno e dalle forze di pubblica sicurezza, questo non mette al riparo i parchi da questa commistione.
Ecco, spero che si possano fare dei miglioramenti e in questo caso ho apprezzato anche la dichiarazione del presidente della Commissione, che ha chiamato migliorabile, nel corso del dibattito in Aula, la legge e che si possano fare dei miglioramenti; altrimenti, avremmo un’operazione di riforma della legge n. 394 del 1991 che rischia di tradire lo spirito di tale normativa, che ha prodotto risultati importanti.
Speriamo che queste storture possano essere modificate, perché i parchi avevano bisogno di altro, ovvero di risorse, di strutture, di competenze e di investire in una governance all’altezza dei tempi che viviamo.