La Corte di Assise di Appello di Taranto, sezione distaccata della Corte di Appello di Lecce, ha annullato la sentenza di primo grado con cui il 31 maggio del 2021 vennero condannati i vertici dell’ex Ilva, in particolare i due membri della famiglia Riva, Fabio e Nicola, figli dell’ex patron Emilio, all’epoca scomparso, oltre a ex direttori di stabilimento, manager e politici coinvolti nell’inchiesta ‘Ambiente Svenduto’ sul disastro ambientale provocato negli anni dallo stabilimento siderurgico del capoluogo jonico.
Questo comporta lo spostamento del processo d’appello a Potenza.
È stata accolta la richiesta della difesa della famiglia Riva secondo la quale i giudici di primo grado, residenti a Taranto, non avrebbero avuto la serenità necessaria per pronunciarsi e sarebbero stati a loro volta parti offese del procedimento.
Bonelli: “Sono esterrefatto“
“Sono esterrefatto!” commenta il portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli.
“L’inquinamento è stata un’invenzione?
Morti e malattie non hanno responsabilità?
Questa non è giustizia.
Con questa decisione, su Taranto si infligge l’ennesima ferita dopo il disastro sanitario.
I dati parlano chiaro.
A Taranto, nel corso degli anni, è stato immesso in atmosfera il 93% della diossina prodotta in Italia, insieme al 67% del piombo, secondo quanto riportato dal registro Ines dell’Ispra, successivamente diventato E-Prtr“.
PeaceLink: “Profonda delusione“
Sulla stessa linea anche la reazione del presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti edi Fulvia Gravame responsabile nodo di Taranto, associazione ambientalista che ha avuto una parte importantissima nella denuncia dell’inquinamento ambientale e parte civile nel processo di primo grado: “È con profonda delusione che abbiamo assistito all’esito dell’udienza di oggi.
Lo spostamento del processo d’appello ‘Ambiente Svenduto’ a Potenza ha conseguenze gravissime per l’intera comunità tarantina.
Infatti lo spostamento comporta l’annullamento del processo di primo grado e questo significherebbe un allungamento dei tempi della giustizia e un rischio concreto di prescrizione per reati gravissimi come la concussione e, probabilmente, l’omicidio colposo“.
“Lo spettro dell’impunità incombe sul processo ‘Ambiente Svenduto’“, aggiungono.
“Ricordiamo che i Pubblici Ministeri, nel corso delle udienze, si sono espressi in modo chiaro e deciso contro il trasferimento del processo, sottolineando l’infondatezza delle eccezioni delle difese degli imputati.
La lotta contro l’inquinamento dell’Ilva prosegue comunque.
Continueremo a garantire la nostra presenza in tutte le iniziative utili a proteggere la popolazione.
Saremo sempre dalla parte delle vittime in quella che l’Onu – ricordano Marescotti e Gravame – ha definito Zona di Sacrificio“.
Le condanne del 2021
La sentenza annullata è quella di primo grado del 31 maggio 2021.
In quell’occasione la corte d’assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) nel processo chiamato Ambiente Svenduto sull’inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico.
Gli imputati dovevano rispondere di diversi reati, tra cui concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva.
Secondo la sentenza, i due ex proprietari rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
I giudici avevano chiesto anche la confisca dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, che però sarebbe diventata operativa soltanto dopo il giudizio definitivo della Cassazione.
Nel processo venne condannato a tre anni e mezzo di reclusione anche l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, per cui l’accusa aveva chiesto cinque anni.
Secondo la tesi degli inquirenti, Vendola avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far “ammorbidire” la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’enorme impianto siderurgico.
Sempre nell’ambito dello stesso processo erano arrivate anche le condanne a 21 anni e 6 mesi per l’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, a 21 anni per l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, 17 anni e 6 mesi per l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, e a due anni per l’ex direttore generale dell’Agenzia per l’ambiente (Arpa) della Puglia, Giorgio Assennato, accusato di favoreggiamento nei confronti di Vendola.
Per Bruno Ferrante, ex presidente Ilva, era invece arrivata l’assoluzione.
(Articolo di A. P., pubblicato con questo titolo il 13 settembre 2024 sul sito online “Today Attualità”)