Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni
In un assolato mercoledì di fine maggio può capitare di incontrare Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni nei pressi del Twiga, l’esclusivo stabilimento balneare dell’acerrimo nemico Flavio Briatore.
Potrebbe sembrare l’attacco di un articolo di una rivista scandalistica ma in realtà i due leader di Alleanza Verdi Sinistra, insieme a un gruppo di militanti toscani, sono arrivati all’ingresso dell’esclusivo lido di Forte dei Marmi per presentare la loro proposta di legge sulle spiagge libere.
Se proprio vogliamo fare un po’ di gossip, posso segnalare un inedito Bonelli a torso nudo, che mostra un fisico ancora invidiabile con tanto di tatuaggi old style, intento a svestire i panni del politico per indossare la sua t-shirt con la scritta: “Briatore lascia Montecarlo!
Paga le tasse in Italia!“.
Più sobrio Fratoianni, che invece sceglie una maglietta con lo slogan “la presa della spiaggia” (titolo dell’iniziativa) rigorosamente sopra la camicia.
I due sono un’immagine fedele della differenza tra l’attivismo ambientalista e il pragmatismo della scuola politica di derivazione comunista: “Io ci provo a fargli fare qualcosa di più movimentista, ma lui si tiene…“, confessa sorridendo il leader di Europa Verde.
“Preferisco la maglietta con lo slogan – spiega invece il segretario di Sinistra Italiana – altrimenti si finisce per parlare di Briatore e non della proposta di legge.
Ovviamente è sacrosanto dire che deve pagare le tasse in Italia, sia chiaro“.
Una piccola delusione tra le “tende arabe”
Sfumature a parte, il sit in parte senza problemi, anche perché fa molto caldo.
Persino i sei rappresentanti del movimento spontaneo “No aste”, un gruppetto di operatori che temono di perdere la loro concessione con la prossima applicazione della direttiva Bolkestein, non ha voglia di arrivare allo scontro e manda i suoi due rappresentanti a dialogare con i deputati: anche a loro, come ad altre categorie, il governo Meloni aveva promesso una “protezione” in violazione delle regole europee.
Ora probabilmente rimpiangono quel “no” a Mario Draghi, che aveva messo in campo una mediazione prevedendo anche un indennizzo a spese dello Stato per i balneari che sarebbero stati tagliati fuori dalle gare.
Mentre gli attivisti organizzano il sit-in e i due politici rilasciano dichiarazioni alla stampa locale, non posso non assecondare la mia morbosa curiosità ed entro nel famigerato Twiga per vedere che aria tira.
La delusione si palesa al primo sguardo: come è normale che sia, in un giorno feriale di fine maggio, col sole che va e viene, sulle famigerate “tende arabe” da 300 euro a coppia ci sono pochi intimi, probabilmente storici abbonati del luogo.
Ovviamente percepisco di essere osservato: il recente blitz degli attivisti di Mare Libero – che hanno occupato la spiaggia nel giorno della scadenza delle concessioni – ha messo in allerta la direzione del locale.
Mi ritiro con gli occhi orfani di stravaganze per ricchi, borse e costumi leopardati, fiumi di botox e balli latino – americani; l’unica carne al sole, oltre a quella già mostrata da Angelo Bonelli, la regala un giovanotto molto palestrato, forse un dipendente dello stabilimento, che ammira i suoi pettorali scolpiti: nel cordiale accenno di saluto che ci scambiamo c’è quasi una punta di quella che Papa Francesco chiamerebbe “frociaggine” e la cosa un po’ mi rincuora, perché anche a 45 anni e in un bagno di sudore continuo a non passare inosservato e attiro l’attenzione di entrambi i sessi; ma non divaghiamo.
“Chiediamo un aumento dei canoni tra il 200 e il 350 per cento“
Torno a fare il cronista politico ed esco dalla lussuosa spiaggia per entrare nel merito della proposta di legge promossa dai rosso-verdi.
La parte che più preoccupa i (pochi) balneari accorsi su via Roma è quella che riguarda i canoni delle concessioni demaniali, che se fosse approvato il testo presentato subirebbero aumenti tra il 200 e il 350 per cento.
“Ci troviamo di fronte ad atti di profonda iniquità sociale“, spiega Angelo Bonelli che aggiunge: “L’Hotel 5 stelle Cala di Volpe, di proprietà della Smeralda Holding dell’emiro del Qatar, per la sua spiaggia versa 520 euro l’anno, mentre l’emiro per i suoi quattro hotel incassa 106 milioni di euro; il Twiga di Briatore e di Santanchè paga allo Stato 21 mila euro a fronte di un fatturato di 4 milioni di euro; il Papeete versa 10 mila euro anno ma fattura oltre tre milioni di euro.
In totale, tutte le concessioni demaniali pagano allo Stato 100 milioni di euro a fronte di un fatturato di 10 Miliardi di euro.
Giorgia Meloni, per cercare di non mettere a gara le concessioni e privatizzare le ultime spiagge libere rimaste nel Paese, ha allungato le coste italiane di tremila chilometri.
È un trucchetto inaccettabile degno di un birichino a scuola.
Noi vogliamo che gli italiani si riapproprino di un bene comune diventato oggi esclusivo e per pochi, a prezzi altissimi“.
Qualcuno ribatte che di fatto si tratterebbe di un esproprio, ma Nicola Fratoianni non ci sta: “Il vero esproprio – risponde – è stato fatto ai cittadini, che non sono più liberi di godere delle loro spiagge.
Le concessioni balneari non sono private, sono dello Stato che ha tutto il diritto di ricavare da esse un incasso congruo e non simbolico.
Perché dobbiamo svendere i beni dello Stato?
Noi non siamo dei pericolosi integralisti.
Paesi come la Francia già applicano quello che noi proponiamo.
In tutto il mondo, dal Brasile alla California, dalla Grecia alla Spagna, ci sono spiagge libere con docce e servizi gratuiti per i cittadini e le uniche concessioni vengono date a chi fa ristorazione; chilometri e chilometri di spiagge a disposizione della cittadinanza, senza barriere e senza muri.
Perché da noi non può essere così?
Il problema è che per la ministra Daniela Santanchè le spiagge libere sono ricettacolo di immondizia e di tossici (testuali parole).
Sono refrattari e insofferenti a tutto ciò che è pubblico.
La nostra è una battaglia di civiltà e ci rivolgiamo anche agli elettori di destra, perché una giornata al mare, a una famiglia di quattro persone, può arrivare a costare cinquanta euro.
Attrezzare le spiagge libere, dando risorse ai comuni, vuol dire anche creare nuova occupazione“.
Un lungomare senza mare
Sandra Giorgetti, militante e componente della direzione nazionale di Europa Verde, conosce bene la zona e racconta: “Qui un tempo c’era tutta macchia mediterranea, ora c’è un lungomare dove non si vede il mare per chilometri e chilometri“.
In effetti è proprio come dice lei: una distesa di stabilimenti balneari corre lungo tutta la litoranea, da Massa a Viareggio.
L’azzurro si intravede in lontananza, solo sbirciando dagli ingressi del locali e oltre i parcheggi.
In molti lidi, nel corso degli anni, sono spuntate costruzioni abusive: cemento in mezzo alla spiaggia che quando entrerà in vigore la direttiva Bolkestein potrebbe essere considerato, in modo assai beffardo, un “miglioramento” che garantirà agli attuali gestori di mantenere la concessione, magari pagando poco più di adesso.
Per il resto la via Roma della ricca Forte dei Marmi è uno stradone tenuto in modo perfetto, dotato di una lunga ciclabile e più colonnine per la ricarica di mezzi elettrici di quante probabilmente ce ne sono in tutta Roma.
A pochi metri dal sit-in un’auto di grossa cilindrata stringe troppo e tocca un ciclista che cade; l’ambulanza arriva dopo pochi minuti.
Siamo pur sempre in quella che un tempo era la “rossa” Toscana, dove la cura del bene pubblico e dei servizi è ancora una religione.
Anche dove qualcosa è andato storto.
Anche in quelle città di mare dove il mare è ostaggio del mercato.
(Articolo di Fabio Salamida, pubblicato con questo titolo il 30 maggio 2024 sul sito online “Today Politica”)